Guido Olimpio, Corriere della Sera 25/08/2010, 25 agosto 2010
SHEBAB, QAEDISTI E «OCCIDENTALI» LA FILIERA DEL TERRORE NEL CORNO D’AFRICA
La Somalia è ormai in piena deriva irachena. Un laboratorio perfetto per far crescere i germi qaedisti e poi diffonderli nella regione. E’ terra di jihad violenta ma anche punto di partenza per attacchi nei paesi vicini. Unisce la campagna del movimento islamico Shebab alle azioni internazionaliste dei seguaci di Osama Bin Laden. I terroristi possono far saltare i loro kamikaze a Mogadiscio e, quando serve, nelle capitali africane interessate alla partita somala: la strage dell’11 luglio a Kampala (Uganda) ne è la prova. Perfetta sintesi di movimento ibrido, in grado di perseguire obiettivi locali e di lanciare operazioni a lungo raggio. Una ripetizione di quanto fatto nella penisola arabicadai mujahedin, con i quali intrattengono rapporti operativi.
Un grande salto nell’organizzazione degli attacchi reso possibile dal coinvolgimento diretto dei «professionisti» di Al Qaeda in supporto agli Shebab. Militanti ben preparati a condurre azioni sovversive e spesso con un passato nell’accademia del terrore afghano-pachistana. Non è un caso che nel rivendicare il massacro di Kampala, i militanti lo abbiano fatto a nome della «Brigata Alì Nabhan». Una dedica speciale e mirata. Nabhan, ucciso dalle forze speciali americane nel settembre 2009, ha forgiato il legame tra i guerriglieri e l’ala qaedista. Un vincolo oggi rinforzato da una serie di «ufficiali» che conoscono bene il territorio. Il primo è Fazul Abdullah Mohammed, ricercato fin dal 1998 per il suo coinvolgimento nelle stragi in Tanzania e Kenya: fonti americane sostengono che sia il vero regista occulto e mente operativa. Poi vi sarebbe il «gestore», il saudita Mohammed Faid mentre il pachistano Abu Musa Mombasa si occupa della sicurezza. I kamikaze sono invece coordinati dal sudanese Mahmud Mujajir.
I capi esterni hanno affiancato e consigliato i dirigenti africani, hanno stabilito una relazione più diretta con la Al Qaeda tradizionale, hanno insistito per un’intensificazione delle attività propagandistiche. Rapporti da proteggere o allargare a seconda dei momenti. Sempre questa filiera si è impegnata nell’aumentare il flusso di volontari stranieri. I militanti sono giunti da Oriente ma soprattutto da Occidente con una colonia robusta dagli Stati Uniti. E’ di poche settimane fa l’incriminazione di 14 persone residenti negli Usa e poi finite in Somalia nelle file degli Shebab. Un’indagine che ha confermato quanto emerso nell’arco degli ultimi due anni con dozzine di somali, spesso cittadini statunitensi, che hanno deciso di passare alla lotta armata. E diversi di loro hanno anche indossato le cinture degli attentatori suicidi. Ha invece assunto la responsabilità della propaganda nei paesi di lingua inglese, Abu Mansur Al Amikri, un convertito proveniente dall’Alabama. Barba d’ordinanza, keffiah è diventato un’icona sulla rete web. La dimostrazione vivente di c ome chiunque possa unirsi alla «carovana dei martiri», come predicavano Al Zarkawi e Al Zawahiri. Gli «americani» sono stati imitati da britannici, svedesi, danesi, tutti attirati dalla possibilità di unirsi al fronte islamico. Contestualmente i reclutatori hanno fatto proselitismo nei paesi africani, puntando con decisione sul Kenya. Una scelta motivata dalla presenza di rifugiati somali e dall’esistenza di un network logistico di Al Qaeda che risale agli inizi degli anni ’90. Pur toccato da qualche arresto, è considerato molto pericoloso.
Se poi si aggiungono l’instabilità perenne e la porosità dei confini è evidente che la Somalia è un cuneo formidabile per destabilizzare l’intero Corno d’Africa usando terrore e guerriglia.
Guido Olimpio