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 2010  agosto 25 Mercoledì calendario

PER IL QUOZIENTE FAMILIARE UN COSTO DA 3 A 12 MILIONI

Ci sarà un motivo se da 20 anni l’idea di introdurre in Italia il quoziente familiare salta periodicamente fuori dal cassetto salvo tornarvi dopo qualche mese? Sì ed è l’eventuale costo per l’erario di un sistema che avvantaggerebbe fiscalmente i nuclei più numerosi. Ma che farebbe perdere allo Stato dai tre ai 12 miliardi di gettito, a seconda della ricetta proposta.
Il tema è tornato prepotentemente d’attualità venerdì scorso quando il premier Silvio Berlusconi lo ha inserito alla voce fisco tra i punti su cui verrà chiesta la fiducia del parlamento. Ammiccando palesemente all’Udc di Pier Ferdinando Casini, tradizionale sponsor della misura. Una fuga in avanti che non sarebbe piaciuta alla Lega e al ministro dell’Economia Giulio Tremonti.
In realtà, il quoziente familiare entra ed esce dalle cronache politiche di casa nostra dall’inizio degli anni Novanta. Già l’articolo 19 della legge 408/ 1990 delegava il governo ad adottare uno o più decreti legislativi per introdurre la «facoltà per i contribuenti di chiedere l’applicazione dell’imposta sul reddito sull’insieme dei redditi del nucleo familiare ». Da quel momento ogni legislatura è stata caratterizzata da più di una richiesta di applicare nel nostro paese lo stesso modello che in Francia esiste dagli anni ’50. Oggi infatti se ne conta una decina. Solo a Montecitorio hanno iniziato l’iter in commissione Finanze sei proposte di legge. Tre a firma del Pdl, due provenienti dal Pd e una di matrice centrista. E almeno altrettante giacciono a Palazzo Madama.
Tutte puntano ad abbandonare il sistema attuale, in cui i componenti del nucleo familiare vengono tassati singolarmente ma possono far valere le detrazioni per carichi di famiglia, a vantaggio di uno così articolato: a ciascun membro viene assegnato un coefficiente (ad esempio 1 al coniuge che lavora e 0,65 a quello disoccupato; 1 ai figli che diventa 0,5 dal terzo in poi); ogni nucleo somma tali coefficienti e arriva a un «quoziente» unico; il reddito dei vari componenti viene diviso per il quoziente e dà luogo alla base imponibile su cui applicare le aliquote Irpef.
Le formule per arrivarci sono però le più disparate. A quelle semplici – come la proposta dal deputato del Pdl Giorgio Jannone di attribuire un quoziente unico alla famiglia compreso tra 1 (single o coniuge divorziato) e 6 (contribuente con cinque figli a carico) – se ne aggiungono alcune decisamente complesse – ad esempio l’ipotesi cara alla senatrice democratica Emanuela Baio che fissa un coefficiente diverso per ciascun membro familiare e spalma l’introduzione del quoziente su cinque anni.
Altrettanto variegate risultano le stime su quanto costerebbe introdurlo. Si parte dai 3 miliardi ipotizzati da Jannone e, passando per i 7,1 stimati dal deputato dell’Udc Luca Volontè, si arriva ai 12,7 immaginati da Ignazio La Russa (Pdl). Tutte strade poco praticabili vista la situazione asfittica delle casse statali.
Ma la soluzione potrebbe arrivare dal federalismo. Il decreto attuativo sulla finanza regionale, atteso per fine settembre, potrebbe affidare ai governatori la chance di introdurre detrazioni Irpef più corpose per le famiglie residenti sul loro territorio. Chissà se all’Udc basterà per cominciare a guardare con occhi diversi alla riforma- bandiera del Carroccio.