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 2010  agosto 25 Mercoledì calendario

LA COLLINA È SACRA, STOP ALLA MINIERA

Le parole escono a fiotti, nell’alternanza di silenzi e scoppi di sillabe tipica del kui , la lingua parlata dalla tribù indiana dei Dongria Kondh. I concetti invece non potrebbero essere più lineari. «Questa foresta appartiene a noi e noi apparteniamo a lei», spiega Gilu Majhi, il capovillaggio di Palberi, un minuscolo eremo circondato da alberi di mango e tamarindo sulle pendici delle Niyamgiri Hills. «Queste colline sono sacre ed è qui che vogliamo continuare a vivere, vicino a questi ruscelli e a queste cascate».
In un paese dalle ambizioni smisurate come l’India del 2010, i sogni di questa tribù dell’Orissa sembrano davvero poca cosa. Eppure quel processo di industrializzazione che da due decenni consente a milioni di indiani di credere in un futuro migliore per anni si è stagliato come una minaccia su questa comunità. Colpa di un controverso progetto che avrebbe dovuto trasformare la sommità della collina su cui sorge Palberi in una miniera da cui estrarre 77 milioni di tonnellate di bauxite, un minerale usato nella produzione dell’alluminio.
Da ieri quell’ombra non c’è più. Il governo indiano ha bocciato il progetto della Vedanta, un colosso da 8 miliardi di dollari di fatturato, e si è schierato al fianco dei Dongria Kondh, 8mila
adivasi, ovvero gli ultimi degli ultimi nella stratificata piramide sociale del Subcontinente. Tecnicamente la bocciatura è stata motivata con alcune presunte violazioni del Forest Act compiute in passato dalla società mineraria anglo-indiana. Di fatto la decisione annunciata ieri dal ministro dell’Ambiente Jairam Ramesh ha poco di burocratico e molto di simbolico. Perché segna un punto a favore delle numerose comunità tribali dell’India che vivono in zone ricche di materie prime come ferro e bauxite e ridimensiona le ambizioni dei tanti gruppi minerari e siderurgici che vedono nella terza economia asiatica un nuovo Eldorado estrattivo e commerciale.
Per accorgersi di cosa avrebbe significato l’irrompere del "progresso" su questa colline dimenticate dal tempo è sufficiente passare qualche ora con la gente che le abita: in un’India che corre verso il suo destino di grande potenza economica, i Dongria Kondh continuano a camminare scalzi; mentre a Delhi si costruiscono templi sempre più ricchi e stravaganti, a Palberi si prega davanti a una roccia conficcata nella terra; ora che gli indiani vanno smarrendo il gusto della lentezza, gli abitanti di questi villaggi non portano orologi e ignorano il senso della domanda: «Quanti anni hai?».
A portare all’attenzione del mondo i rischi corsi fino a ieri dai Dongria Kondh sono state Amnesty International, ActionAid e soprattutto Survival International, un’organizzazione non governativa britannica specializzata nella difesa delle popolazioni tribali. Secondo Jo Woodman, un’attivista di Survival, «tutto ciò che fanno e tutto ciò in cui credono i Dongria Kondh è legato in maniera indissolubile alle Niyamgiri Hills» e un progetto come quello della Vedanta avrebbe avuto «un impatto fortissimo sulla loro cultura, la loro fede e il loro orgoglio». Un’opinione che Mukesh Kumar, chief operating officer di Vedanta Alumina, non ha mai condiviso, sostenendo che la zona dove si sarebbe scavato «non è popolata e nessun abitante dei villaggi sottostanti sarebbe dovuto andare a vivere altrove per colpa della miniera».
Per comprendere la portata e le ricadute della battaglia consumatasi sulle Niyamgiri Hills dell’Orissa è sufficiente sovrapporre una cartina delle regioni a maggiore densità di popolazioni tribali e una mappa delle risorse minerarie indiane. Le corrispondenze sono tali da fare sì che il confronto tra i Dongria Kondh e la Vedanta, più che alla trama di Avatar, somigli a un prologo di ciò negli anni a venire attende, in altre regioni dell’India, altre comunità e altre imprese.
Con sullo sfondo, ancora una volta, la ricerca di nuove ricchezze minerarie e il pericolo di stravolgere l’esistenza di intere comunità e condannare a morte le loro lingue e con esse intere culture. «Quando una lingua muore, cessa di esistere anche un grande patrimonio intellettuale fatto di musiche, storie e pratiche mediche alternative alle nostre», spiega Udaya Narayana Singh uno dei due professori che hanno curato il capitolo indiano dell’Atlante mondiale delle lingue in pericolo dell’Unesco.
La sfida che attende il governo è di salvaguardare questo patrimonio e tutelare i diritti di alcune delle popolazioni più vulnerabili dell’India, possibilmente senza rallentare troppo il processo di industrializzazione di cui il paese ha bisogno. Il fatto che negli ultimi mesi il settore minerario indiano sia stato al centro, per colpa di amministratori corrotti e imprenditori senza scrupoli, di una serie di scandali clamorosi non fa ben sperare. Ma non tutto è perduto. Come insegna il tortuoso percorso burocratico che in questi anni ha prima rallentato e poi bloccato il progetto della Vedanta, la macchina statale indiana possiede alsuo interno non solo un certo numero di politici e burocrati afflitti da forme incurabili di nanismo morale. Ma anche eccellenti anticorpi in grado di scongiurare alcuni degli errori provocati dalla fretta e dalla mancanza di regole.