Tommaso Di Francesco, il manifesto 22/8/2010, 22 agosto 2010
UN CASO DEL BOCA?
L’ambasciata libica in Italia e l’Ufficio Popolare della Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista annunciano che il 30 agosto si terrà, con la partecipazione di storici, scrittori, docenti universitari in via Cortina d’Ampezzo, nella sede dell’Accademia libica in Italia, un convegno storico sulla Libia e, naturalmente, sul ruolo del colonialismo italiano. Sarà un evento culturale laterale ma significativo: quel giorno arrivera Gheddafi e ci sarà un vertice con Berlusconi nel secondo anniversario del Trattato di amicizia tra Libia e Italia. Un trattato che da una parte riconosceva le responsabilità dell’occupazione coloniale e fascista e dei suoi eccidi con la riparazione, per la prima volta dopo tante promesse, di investimenti per risarcire i danni di guerra e i massacri di massa lì perpetrati; e dall’altra impegnava il governo di Tripoli a fermare e contenere la cosiddetta immigrazione clandestina, quella in fuga dalla miseria della grande Africa dell’interno che, disperata, attraversa il grande Sahara, l’immensa «froniera» a sud della Libia. È intanto accaduto un fatto straordinario: nell’impossibilità di applicare questa parte del trattato, visto che equivaleva ad edificare una miriade di campi di concetramento per immigrati, a metà luglio il leader Gheddafi ha deciso, con una mossa a sorpresa, di rilasciare tutti gli stranieri rinchiusi nei centri di detenzione libici. Praticamente ha dato l’ordine di chiuderli. Uno smacco per le pretese dell’Italia. Di questo e del convegno storico del 30 agosto abbiamo parlato con Angelo Del Boca, lo storico del colonialismo italiano in Libia e in Africa.
Che cosa pensi di questo convegno storico? Il Corriere della Sera adombra che "Palazzo Chigi" caldeggerebbe la tua presenza tra i relatori. A proposito, sei invitato?
«Come tutti i convegni anche questo è importante. Quando si discute tra storici, di una parte e dell’altra, si arriva poi a dei confronti che sono sempre positivi. Sfortunatamente non sono stato ancora invitato, ho soltanto appreso dal Corriere della Sera che Palazzo Chigi sarebbe soddisfatto di una mia partecipazione a questo incontro. Tra le altre cose lo stesso gionale ricorda la mia tarda età, 85 anni, che voglio ricordare non mi impedisce di pubblicare un libro all’anno e di dirigere la rivista storica Sentieri delle ricerca. Va detto che questi incontri non si costruiscono in una settimana, il tempo di preparazione dovrebbe prevedere mesi. Su che cosa dovremmo discutere? Sul tema dei campi di detenzione ho detto più volte la mia sul manifesto: i campi non servono, anzi sono nocivi. Ora la nuova decisione di Gheddafi in un certo senso ha liberato di un peso enorme anche le coscienze di tutti, italiani e libici. Ecco, se è questo il tema, direi che l’argomento è di estremo interesse. Ce lo diranno gli storici libici oppure lo stesso Gheddafi. Che dovrebbe intervenire al convegno. Ho un buon ricordo del leader libico. Sono stato con lui più di due ore a discutere e alla fine di una bellissima intervista, che poi mi servì per scrivere la sua biografia, fu di una gentilezza enorme quando mi disse: «Grazie per aver scritto la storia del mio paese». Che è poi anche la storia della resistenza libica all’occupazione italiana».
C’è stato un altro dissapore non indifferente, raccontato anche quello dal manifesto: tu hai scoperto e dato voce ad un passaggio decisivo di questa resistenza in un libro incredibilmente censurato in Libia. E la vicenda è tutt’ora irrisolta...
«No, purtroppo non è risolta. Il mio libro, A un passo dalla forca, pubblicato in Italia da Baldini e Castoldi a fine 2008, è entrato in Libia solamente nella edizione araba quindi leggibile da tutti, poi è stato naturalmente stampato in francese e in queste settimane uscirà a New York in edizione inglese. La vicenda non è risolta. L’ambasciatore libico mi ha consigliato di non dare peso alla decisione ministeriale e che poi tutto si sarebbe chiarito. Però da lui non ho avuto poi una risposta precisa. Eppure io ho il testo del provvedimento che interdiva il testo aggiungendo che il libro non può essere venduto e letto in Libia. Probabilmente perché io davo il giusto rilievo all’attività della Senussia. Non dimentichiamo che Omar al-Mukhtar - il leader della resistenza impiccato dagli italiani, del cui ritratto Gheddafi quando è arrivato in Italia per la prima volta portava sul petto il momento della cattura e dell’impiccagione - fu un personaggio dall’enorme rilevanza che io certo non potevo ignorare. Sembra che, come in tutti i ministeri, c’è sempre qualcuno più zelante e allora pare che sia accaduto questo fatto così poco simpatico. Io sottolineavo nel libro il grande ruolo nella resistenza anti-italiana in Tripolitania di Mohamed Fekini, un grande intellettuale e il vero leader del movimento di lotta contro i colonialisti italiani. Tra l’altro quando mi sono occupato delle sue memorie sono rimasto assolutamente sbalordito dalla validità dei testi che elaboravano il punto di vista del nemico, interagivano. Un libro di memorie il suo, meraviglioso».
Ora sembra che Palazzo Chigi auspichi la tua partecipazione...
«Non c’è il rischio, credo, che il governo italiano - come dire - strumentalizzi la funzione degli storici. Soprattutto perché, bisogna riconoscerlo, Berlusconi, dopo lunga reticenza, ha preso posizioni molto esplicite sulle responsabilità italiane. Nei discorsi fatti sia a Bengasi al momento della firma dell’accordo e poi in Italia qualche giorno dopo ha denunciato i crimini italiani in una maniera, diciamolo, perfetta, senza dimenticare nulla. Arrivando all’enfasi: «Altro che italiani brava gente!». Il rischio semmai è essere considerato lo storico «ufficiale», cosa che mi va un po’ stretta».
Allora il «caso Del Boca» non c’è. Se ti invitassero tu non diresti di no?
«Tutt’altro. Certo l’informazione poteva arrivarmi prima. Per quei giorni impegni familiari irrinunciabili probabilmente mi impediranno una presenza diretta. Ma la mia partecipazione intellettuale, l’attenzione morale e culturale ci stanno tutte, insieme all’apprezzamento profondo della «mossa» a favore degli immigrati presa all’ultimo momento da Gheddafi».