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 2010  agosto 21 Sabato calendario

LAPIDAZIONE, NE’ GRECI NE’ LATINI UCCIDEREBBERO COSI’ SAKINEH

Come morirebbe Sakineh, condannata alla lapidazione, se la pressione dell’ opinione pubblica internazionale non riuscisse a bloccare la mano ai suoi carnefici (è attesa per oggi la sentenza sul riesame del caso)? Avvolta in un sudario bianco, verrebbe sepolta fino al petto e uccisa da parenti e astanti a colpi di pietre, le cui dimensioni dovrebbero essere tali da non consentirle una morte troppo rapida. Di media grandezza, le pietre dovrebbero garantire la durata media dell’ esecuzione: circa trenta minuti. Che l’ orrore senza pari suscitato da questa esecuzione sia dovuto alla sua barbarie è ovvio: ma forse ad accrescerlo gioca anche un’ altra considerazione, che come spesso accade è legata alla storia. La lapidazione non è mai entrata a far parte della nostra cultura giuridica. Nel mondo classico, nel quale affondano le radici del nostro diritto, «il chitone di pietre» (come lo chiama Ettore, nell’ Iliade) era una forma di giustizia popolare al di fuori di ogni controllo istituzionale, che non fu accolto nel «giardino dei supplizi» né greco né romano. La morte con la pietra era un’ esplosione di rabbia popolare, veniva inflitta da gruppi spontanei, senza accertamenti preliminari della colpevolezza. Non era un’ istituzione giuridica: a «fare giustizia» non erano dei terzi estranei. La partecipazione delle parti offese all’ esecuzione era in insanabile contrasto con l’ esigenza dello Stato nascente di superare la fase della vendetta e di entrare in quella del diritto. Anche per questo il pensiero della lapidazione ci colpisce in modo particolare. Perché ci rimanda a una preistoria del diritto che ci illudevamo di aver per sempre superato. Secondo il comitato internazionale contro la lapidazione dal 1979 sono state effettuate 150 lapidazioni. Fermiamo questa vergogna, forse siamo in tempo. Firmiamo anche noi (sul sito www.laregledujeu.org) l’ appello lanciato da Bernard-Henri Lévy.
Eva Cantarella