Sergio Rizzo-Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 21/08/2010, 21 agosto 2010
PIOVONO GLI EURO. E BATTISTI DIVENTA UN RICORDO SCOMODO - A
perenne memoria / dei / MILLE... / affinché non vengano dimenticati/ la città di Trento / pose». Ovvio, penserete: che altro potrebbero aver scritto sul muro del consiglio municipale? Non è stata forse Trento durante il Risorgimento «quella nobile parte della nostra penisola che ad onta di dugento mila mercenari dell’ Austria che la calcano e la depredano non mancò di far sentire la sua voce di giubilo e trionfo della causa italiana, di reprobazione e di disprezzo alla fetida dominazione austriaca», come scrisse nel 1859 Garibaldi ai trentini, per consolarli del mancato ricongiungimento con la madrepatria? Di quante piazze «Trento e Trieste», binomio simbolo dell’ irredentismo, è disseminata l’ Italia? E quanti trentini sacrificarono la vita al fianco dell’ Eroe dei due mondi, come i fratelli Narciso e Pilade Bronzetti celebrati da d’ Annunzio? Peccato che i Mille ai quali Trento ha voluto dedicare un anno e mezzo fa quella lapide non sono garibaldini. Ma i «MILLE / suoi figli soldati / dell’ imperial regio esercito / austroungarico / caduti nel conflitto mondiale / 1914-1918». Quelli che si schierarono sulla trincea opposta di Cesare Battisti, Fabio Filzi, Damiano Chiesa. I tre trentini che scelsero l’ esercito italiano, furono giustiziati dall’ Austria come disertori e sono oggi indicati quali martiri sul marciapiede di fronte. Sul muro di palazzo Geremia, sede del sindaco, dove c’ è appunto una lapide del 1920 dell’ Associazione studenti trentini che volle così ricordare «i soci caduti per la redenzione». Sia chiaro: tutti i morti della Grande Guerra, quel feroce conflitto tra fratelli europei che oggi ci appare immensamente lontano e insensato, hanno diritto di essere ricordati. Tutti. Ma certo quella contrapposizione di targhe sugli opposti marciapiedi fa impressione. Perfino ai politici autori della scelta. Come se la lapide ai caduti trentini dell’ esercito di Francesco Giuseppe non avesse padre. Men che meno il sindaco ex margheritino Alessandro Andreatta che dal maggio 2009 guida una giunta di centrosinistra e fa capire che lui, insomma... La targa, in realtà, un padre ce l’ ha. E’ il Partito Autonomista Trentino Tirolese, che sulla Provincia ha una specie di golden share. Alle ultime amministrative ha preso l’ 8,52%, pari a 23.336 voti. Senza i quali la coalizione di centrosinistra guidata da Lorenzo Dellai, alle elezioni del 2008, non ce l’ avrebbe fatta. Soprattutto, il Patt porta via voti alla Lega Nord. Alle politiche 2008 il Carroccio aveva raggiunto il 16 e mezzo, per attestarsi alle provinciali sopra al 14. E il crollo alle municipali sotto l’ 8% è stato vissuto dagli eredi di Margherita e Ds con sollievo. Neppure il Patt, a quelle elezioni, è andato benissimo, fermandosi sotto il 5%. Ma in Provincia è determinante. E il centrosinistra non può rinunciare al suo baluardo antileghista, col rischio di veder franare un sistema di potere che gli consente di gestire quest’ anno, come ha spiegato Simone Casalini sul Corriere del Trentino, 4 miliardi 570 mila euro. Più una fetta di finanziamenti della Regione, che mezzo secolo dopo il «Los von Trient!» (via da Trento!) di Silvius Magnago, è da tempo una scatola svuotata dalle due province ma gestisce comunque 470 milioni. Una montagna di soldi. Che Trento non potrebbe neppure sognarsi senza quella larga autonomia sempre più esposta agli attacchi e automaticamente sempre più legata all’ abbinamento con chi è tutelato da un trattato internazionale: il Sud Tirolo. Che ancora oggi, nel solco di quanto diceva Silvius Magnago, considera Cesare Battisti un traditore. Va da sé che mentre l’ icona di Battisti viene via via spazzata via dal vento che soffia verso Nord, è tutto un fiorir di riscoperte tirolesi. Non solo nell’ obbligo, corretto, dell’ insegnamento del tedesco a scuola. Ma nell’ omaggio ad Andreas Hofer, il patriota tirolese che capitanò gli Schützen contro Napoleone Bonaparte. Un eroe tedesco per il cui bicentenario l’ anno scorso la Provincia trentina ha speso 381.912 euro. Stanziati dall’ assessore alla cultura Franco Panizza, del Patt. La revisione dei segni risorgimentali, del resto, non è cosa di oggi. Da anni, per esempio, hanno cambiato nome al Museo del Castello del Buonconsiglio, dove Battisti, Filzi e Chiesa furono condotti al patibolo. Nel 1923 si chiamava «Museo del Risorgimento». Dopo la II guerra e la Resistenza lo ribattezzarono «Museo del Risorgimento e della lotta per la libertà». Ora è il «Museo storico di Trento». Fine. Superfluo sottolineare che la nuova denominazione risale al 1995. L’ anno dopo l’ ascesa alla presidenza della provincia di uno dei fondatori del Patt, Carlo Andreotti. «Ah, l’ Austria! L’ Austria Felix!» Il Trentino non aveva un’ università italiana? La pellagra falciava il mondo contadino? La miseria era tale da spingere quei nostri nonni a emigrare persino coi carri e i buoi e i rastrelli a Stivor, in Bosnia? Quello che conta è il passato su misura. Riscritto in funzione della politica di oggi. E qual è la cosa più conveniente, oggi? Tenersi stretto l’ accoppiata con l’ Alto Adige nata nel 1946 con l’ accordo fra il trentino Alcide De Gasperi e il ministro degli Esteri austriaco Karl Gruber. Accoppiata che fa di queste terre le più ricche del Paese. Ma nell’ Europa senza frontiere di oggi e i conti pubblici in difficoltà, ha ancora un senso (soprattutto economicamente) questa autonomia alto-atesina estesa alla provincia confinante? Perché il Trentino dovrebbe essere privilegiato rispetto al Veneto? E’ quello che, per esempio, hanno cominciato a chiedersi una dozzina di comuni bellunesi e vicentini. Che nel tentativo (fallito) di farsi annettere dai «cugini» ricchi hanno promosso referendum dai risultati schiaccianti. Il campanello d’ allarme è suonato subito. Coscienti delle ristrettezze romane, Dellai e il suo collega bolzanino Luis Durnwalder si sono fatti dare un ampliamento delle competenze, alleggerendo il bilancio statale di un miliardo. D’ ora in poi gli ammortizzatori sociali e gli atenei saranno gestiti da loro. E negli accordi c’ è anche un finanziamento, sempre a carico del Trentino, di 40 milioni per i comuni confinanti. Il tutto per tamponare altre richieste di trasloco territoriale. Deciso a mettere l’ autonomia in cassaforte nonostante i nuvoloni, Dellai ha compiuto tre passi. 1) Ha blindato la maggioranza imbarcando il Patt senza Carlo Andreotti, che dopo avere zigzagato da destra a sinistra e a destra fu scelto come candidato dai berlusconiani, finendo trombato per una pubblicità in cui, truccato da arrapato vegliardo, allungava la mano sotto le gonne di un’ infermiera. 2) Scettico sul Pd, ha fatto sopravvivere la Margherita col nome nuovo di Unione per il Trentino. 3) Ha sottoscritto un patto di ferro con Durnwalder e Guenther Platter, presidente del land di Innsbruck. Obiettivo: la nascita di una Regione europea sovranazionale che somiglia tanto al vecchio grande Tirolo. Il progetto, digerito a fatica dai rispettivi governi nazionali, avrà risvolti tutt’ altro che formali. Perché i tre hanno intenzione di coordinare la politica di trasporti, istruzione universitaria, scuola, ricerca, sanità, energia. Il tutto gestito da un nuovo «ente» transnazionale presieduto a turno da ciascuno dei tre presidenti, con struttura e dipendenti propri. «Un’ operazione in chiave europea, non nostalgica», puntualizza Dellai. Ma non c’ è dubbio che l’ Euregio (così si chiama) rinverdisca l’ immagine del Tirolo prerisorgimentale. «Nello spazio che il Trentino dedica oggi alla memoria diciamo che il 97% va ad Andreas Hofer e il 3% a Cesare Battisti», accusa lo storico Stefano Biguzzi, autore d’ una combattiva biografia del protagonista risorgimentale (presentata a Trento nel vuoto totale: 11 presenti, zero autorità) edita da Utet. «Certo, non è solo il Trentino ad avere rimosso quello che è stato l’ uomo che ha dato il nome a più piazze, corsi e viali dopo Garibaldi e Mazzini. Non c’ è una riga su di lui nella storia d’ Italia da Einaudi, non una in quella edita dall’ Utet. Socialista, antimilitarista, anticlericale, Battisti è stato via via cancellato. Non piace ai cattolici, non piace ai tedeschi (anche se lo storico Klaus Gatterer, sfidando i retorici della sua parte, tentò un parallelo proprio con Hofer per la dignità con cui affrontò la morte in nome dei suoi ideali), non piace agli antifascisti caduti nell’ imbroglio del Battisti filofascista inventato da Mussolini». Beati i paesi che non hanno bisogno di eroi? Sicuro. Ma Dio salvi quelli che cancellano gli eroi veri. Come fu appunto quell’ uomo impiccato («il boia finse la rottura del laccio per prolungare l’ esecuzione», ha scritto Paolo Bari) dopo un processo farsa durante il quale rivendicò tutto: «Ammetto di aver svolto la più intensa propaganda per la causa d’ Italia e per l’ annessione a quest’ ultima dei territori italiani dell’ Austria...». Memoria scomoda. Scomodissima. Novantaquattro anni dopo Dellai dice: «Ci sentiamo trentini, italiani, europei. Trento e i trentini hanno una attitudine alle appartenenze multiple. In un mondo nel quale sembra che non esista alternativa fra separazione e centralismo, noi rappresentiamo una terza via». Lastricata d’ oro. Al Comune di Trento sono arrivati nel 2008 dallo Stato centrale e dalla Regione, secondo i dati dell’ Anci, 1.113 euro per abitante. Di più ne ha avuti solo Bolzano: 1.121. Queste due Province hanno intascato circa il doppio dei soldi procapite assegnati a Roma (591 euro), Firenze (555), Torino (535) o Cosenza (523). Il triplo rispetto a Reggio Calabria (405), Mantova (397) o Novara (396). Addirittura il quadruplo nei confronti di Lamezia Terme (275), Lecce (273) o Piacenza (269). Una sperequazione che nel 2006 spinse Roberto Formigoni a sbottare: «Basta con i privilegi del Trentino-Alto Adige. E’ venuto il momento di rivedere i parametri di redistribuzione delle risorse». Anche perché al Tesoro risulta che le due Province ricevono stabilmente soldi pubblici superiori alle imposte pagate. Nella media 1996-2007 la differenza è di 449 euro per abitante l’ anno in Alto Adige, 872 euro in Trentino. Va da sé che i Comuni si permettono lussi altrove impensabili. A partire dalle buste paga degli amministratori. Che qui continuano a salire. Nel maggio del 2006 lo stipendio del sindaco di Trento (114 mila abitanti) era di 8.810 euro lordi al mese, cioè più alto di quello del primo cittadino di Roma? Quattro anni dopo è stato portato a 9.432 euro: +7%. Idem per la paga del sindaco di Bolzano (102 mila abitanti), volata nel 2010 alla stratosferica cifra di 13.312 euro mensili, superiore perfino all’ indennità dei parlamentari. E questo mentre si sta per aprire un nuovo capitolo, quello delle Comunità di valle. Cosa sono? Quindici enti intermedi, nuovi di zecca, fra i Comuni e le Province, creati con una «riforma istituzionale» del 2006, ai quali dovrebbero essere trasferite alcune competenze provinciali. Un po’ quello che erano i vecchi comprensori, ma in chiave, per così dire, rinnovata. Tanto per cominciare, nel meccanismo di nomina dei consiglieri. Sono, compresi i presidenti, una valanga: 564. La Comunità delle Giudicarie ne ha 99. La Val di Non 96. La Bassa Valsugana 54. Non bastasse, vanno aggiunti 76 assessori, per un totale di 640 (seicentoquaranta) poltrone. Per i due quinti attribuite dai consigli comunali, per il resto dai cittadini il prossimo 24 ottobre. Con liste, ha raccontato Tristano Scarpetta sul Corriere del Trentino, anche da 80 candidati. E un costo stimato in due o tre milioni. Ma il conto totale è molto più salato. Ciascuna Comunità ha un direttore generale, uffici, personale. Un presidente guadagnerà da un minimo di 2.891 a un massimo di 3.533 euro lordi al mese. Il doppio dei presidenti di comprensorio. La Provincia assicura che è tutto a saldo zero, perché le Comunità assorbiranno personale degli uffici provinciali. Sarà. Fatto sta che si accavallano quattro enti locali per un milione di abitanti. C’ è la Regione, presieduta a turno dai «governatori» del Trentino e dell’ Alto Adige, con 300 dipendenti. Le due Province. Le Comunità di valle. I Comuni. Numerosissimi: nel solo Trentino sono 217. Anche microscopici. Con casi come quello di Massimeno, 124 anime, il cui sindaco ha diritto, in base alle tabelle, a 1.140 euro lordi al mese. Dieci per ogni cittadino. Sia chiaro, i soldi pubblici non vengono spesi solo per la casta locale. Di più: le amministrazioni sono generalmente migliori che da altre parti. Le strade iniziate vengono finite, i cantieri aperti vengono chiusi, i programmi generalmente rispettati. Ma certo, così tutto è più facile. Per fronteggiare la crisi economica, ad esempio, la Provincia ha tirato fuori 850 milioni. E c’ è il reddito minimo di garanzia, una specie di assegno per i senza lavoro che vale 541 euro al mese ma può arrivare anche a 1.082 euro per una coppia con figlio minore. E questo nonostante la disoccupazione sia a livelli «fisiologici», fra il 2,7 e il 3%. Poi ci sono contributi per le imprese, soldi per le opere pubbliche, sussidi alle attività economiche. E il sindaco Andreatta si può concedere il lusso di sognare progetti faraonici da 700 milioni come quello d’ una metropolitana di 10 chilometri senza conducente. Vecchio sogno che era stato accantonato perché troppo costoso. Certo, anche a Trento non mancano i problemi. Il nuovo carcere, che dovrebbe sostituire la vecchia prigione fatiscente, è costato 112 milioni però si rischia di non poterlo aprire per mancanza di guardie carcerarie. Tuttavia, al netto di qualche piccolo inconveniente simile, Andreatta ammette che «è una città facile da amministrare». Facile, perché le tensioni sociali sono ridotte al minimo. Facile, perché i soldi corrono. Basta guardarsi intorno: banche dappertutto. Gli sportelli in provincia sono 543: uno ogni 878 abitanti. Un record battuto solo da San Marino. Per fare un paragone, la ricca Provincia di Brescia ha uno sportello ogni 1.286 abitanti, quella di Rimini uno ogni 1.052. Gli istituti di credito di Trento sono sette. Ma quelli che hanno sede in tutta la Provincia sono 50. Di questi, 46 sono casse rurali, cioè banche cooperative: l’ ossatura dell’ economia e della società trentina. Tanti soldi statali, tanta politica nell’ economia. Il Trentino pullula di aziende pubbliche. Il Comune ha 21 partecipazioni. La Provincia 23. Autostrade, aeroporti, banche, società finanziarie, energia. Con 110 poltrone nei consigli di amministrazione. E senza contare le partecipazioni a valle. Soltanto la Trentino sviluppo ne ha 35: dalle funivie al porfido, passando per i salumifici e la pasta fresca. Gnocchi, formaggette e cannelloni farciti: prelibatezze da alta ristorazione. Li fabbrica la Gourmet Italia, controllata al 44,5% dalla Provincia. L’ appetito vien mangiando.
Sergio Rizzo-Gian Antonio Stella