Aldo Cazzullo, Corriere della Sera 21/08/2010, 21 agosto 2010
ALLE URNE IN INVERNO? E’ GIA’ ACCADUTO. ERA IL 1849 E FU ELETTO ANCHE GARIBALDI
Non è vero che in Italia non si sia mai votato d’ inverno. C’ è un precedente, e illustre. La prima campagna per elezioni a suffragio universale (purtroppo solo maschile) della storia d’ Italia si tenne in dicembre. E si votò il 21 gennaio 1849, per eleggere la Costituente che avrebbe dato vita alla Repubblica romana. Fu, contro ogni aspettativa, un grande successo. Si temeva un’ affluenza bassissima, a causa del gelo, della neve, del disinteresse del popolo, e soprattutto del boicottaggio dei preti. Il Papa, in esilio volontario a Gaeta, annunciò la scomunica per chiunque fosse andato a votare. Invece la partecipazione risultò molto al di sopra delle previsioni. A Roma fu attorno al 50%. In tutto lo Stato pontificio i votanti furono più di un terzo degli aventi diritto. E vinsero i moderati. A Macerata fu eletto Giuseppe Garibaldi, ma solo tredicesimo su sedici. Giuseppe Mazzini non si presentò (sarebbe stato eletto alle suppletive), e alla Costituente i suoi seguaci erano in minoranza. Soltanto dopo gli eventi precipitarono, anche per l’ intransigenza di Pio IX, e l’ assemblea proclamò la Repubblica destinata a essere soffocata nel sangue dalle truppe francesi. Il Papa non prese bene le elezioni. Le definì un «mostruoso atto di smascherata fellonia», «abominevole per l’ assurdità della sua origine e l’ empietà del suo scopo», «un enorme e sacrilego attentato, meritevole de’ castighi comminati dalle leggi sì divine come umane». Fu invece un primo esperimento di democrazia, ben raccontato da Claudio Fracassi nel suo saggio «La meravigliosa storia della Repubblica dei briganti» (Mursia). In campagna elettorale nacquero giornali dalle testate immaginifiche: «Il Positivo», «La donna bizzarra», «Il Giornaletto del popolo», «La voce di un popolano» e pure «Il Nemico del diavolo zoppo». I teatri ospitarono comizi e dibattiti. Artisti e intellettuali si portavano a Roma da tutta Italia. Giuseppe Verdi anticipò la sua venuta in città, dove il 27 gennaio era in cartellone la prima assoluta della Battaglia di Legnano, per assistere l’ 8 gennaio al suo Macbeth al teatro Argentina, acclamatissimo dagli spettatori tutti in piedi. La maggior parte degli elettori non aveva la minima idea di cosa significasse votare. I circoli popolari lanciarono una campagna di informazione, basata sul dialogo tra l’ ignaro garzone Pippetto e l’ esperto calzolaio Gioacchino. Chiedeva Pippetto: «Insomma, si può sapere cos’ è questa Costituente, della quale si sente tanto parlare?». E Gioacchino, paziente: «In ogni città il popolo si raduni dove gli resta più comodo. Ognuno dia il suo voto per leggere due, tre, quattro persone, e a queste persone date l’ incarico di unirsi cogli altri scelti dalle altre province. Le persone scelte si chiameranno i rappresentanti del Popolo. Eccola! Questa è la Costituente!». I deputati da eleggere erano duecento. I cento più votati dovevano rappresentare gli elettori romani anche nella futura assemblea italiana, che mai avrebbe visto la luce. Si votò di domenica e di lunedì, proprio come ora. Il sabato fu proclamata l’ amnistia per i detenuti, esclusi i condannati per omicidio e furto aggravato e i recidivi. Nei veri seggi fu esposto un grande cartello, che in quello di Montecitorio rimase illuminato anche di notte: «Chi ama la sovranità del popolo ha lo stretto obbligo di correre a dare il suo voto. Il solo cittadino che ha macchie infamanti non può accostarsi alle urne. Se voi non accorrete a questo sacro dovere è segno che non avete a cuore né onore, né patria. Accorrete. Viva l’ Italia». Accorsero, solo a Roma, in 24 mila, circa la metà dei maschi adulti; ma, annotò un cronista, grande fu «l’ agitazione di spirito anche delle donne, che esortarono gli sposi a dare il loro voto». A Senigallia, la città di Pio IX, votarono in 2.307 su tremila aventi diritto. Margaret Fuller, inviata del New York Tribune, annotò: «Il numero dei votanti è superiore, in proporzione, a quello del nostro Paese». In tutto furono 250 mila. Non si sceglievano i partiti, ma gli uomini. La nuova assemblea era dominata dai borghesi. C’ erano 27 possidenti, 53 giuristi e avvocati, un banchiere, dodici professori, due letterati, 21 medici, un farmacista, sei ingegneri, cinque impiegati, due commercianti, 19 militari, un priore e un solo monsignore. A Roma fu eletto Carlo Luciano Bonaparte, nipote del grande Napoleone e cugino di Napoleone III nuovo presidente della Repubblica francese. Tutte le cancellerie d’ Europa valutarono - con preoccupazione - che il voto d’ inverno era stato un grande successo. Il rappresentante piemontese a Roma scrisse a Gioberti, capo del governo di Torino che ancora sperava di riportare Pio IX al Quirinale e alla presidenza di una confederazione italiana: «Questo attestato solenne della pubblica volontà dimostra chiaramente essere ormai quasi impossibile una conciliazione tra il popolo romano e il Papa». Andò proprio così. La Costituente dichiarò finito il potere temporale dei Pontefici. Goffredo Mameli inviò un telegramma a Mazzini: «Roma, Repubblica: venite!». Il generale Oudinot sbarcò a Civitavecchia convinto di entrare in Roma senza colpo ferire: «Les italiens ne se battent pas». I difensori della Repubblica si batterono invece magnificamente, mentre l’ assemblea scriveva sotto le cannonate una Costituzione che non sarebbe mai entrata in vigore. Resta il ricordo di quando gli italiani votarono per la prima volta, nel gelo invernale, sotto la minaccia di scomunica, ma dopo una campagna elettorale senza insulti né dossier, senza candidati monopolisti o quasi dell’ informazione, senza odio esasperato verso nessuno dei contendenti. Una storia davvero molto lontana nel tempo.
Aldo Cazzullo