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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

TORNA LIBERO IL BOSS DELLA MALA DEL BRENTA UNA VITA TRA YACHT, RAPINE E SPARATORIE - MILANO - C´è

stata un´epoca, diversa da questa popolata sulla strada da fantasmi, commercianti di droga e morti di fame, in cui il criminale ci teneva ad essere riconosciuto come criminale. E ad applicare un´antica morale: distorta, ma sempre morale, e cioè «Non si spara sui poliziotti». Felice Maniero - al quale sono stati dedicati libri, speciali tg e siti Internet - era uno di questi ormai «dinosauri» della malavita, anche se ha appena 55 anni. Ma siccome la prima Ferrari l´ha comprata a 18 anni, e non certo grazie al sudore della fronte di un giovane figlio di operaio, nato nella provincia di Campolongo Maggiore, è da molto tempo che ha fatto parlare e scrivere di sé, e dei suoi cattivi compagni, in quelli che ai gangster sembravano bei tempi, ma alle loro vittime decisamente un po´ meno.
Oggi Maniero ha finito di scontare la sua pena, che era di venticinque anni per sette omicidi (lui se ne attribuisce però 5), associazione a delinquere di stampo mafioso, rapine, traffico di droga e sequestri, ridotta a diciassette. Aveva già lasciato gli arresti domiciliari, gli restava il soggiorno obbligato: fine. Adesso può mantenere la nuova identità, girare in Europa, fare quello che sa fare: l´imprenditore. Una volta era un «manager calibro 9», ora - è sperabile - non più.
Era uno dei tanti «faccia d´angelo» della mala: capelli a caschetto, eleganza da boutique, un´aria in apparenza serena, sorriso pronto. A Milano c´era, con quel soprannome, Francesco Turatello, boss incontrastato e con le conoscenze ai piani altissimi del Psi craxiano. Maniero, che con Milano aveva frequenti contatti, era il capobanda della Mala del Brenta. Il boss, più che di un´organizzazione, di una compagnia criminale molto mobile ed efficiente, con base nel Veneto, spietata nelle rapine: se una guardia giurata resisteva, si trovava sotto una tempesta di proiettili.
Sono quattordici gli omicidi attribuiti alla gang e per gli anni Ottanta e Novanta - tra evasioni (tre, e in una lo liberò un commando di dieci uomini travestiti da carabinieri), traffici di droga, assalti ai furgoni blindati, al Casinò di Venezia e a un carico d´oro in partenza dall´aeroporto Marco Polo - «Felicetto» è stato un pezzo da novanta, con manie di grandezza. Un arresto a Capri su uno yacht lussuoso e le comparse nelle aule di tribunale dove, nelle pause, ordinava uno spaghettino all´aragosta, hanno contribuito a dargli una fama da viveur, non del tutto meritata.
Grande amore per la mamma (proprio come Turatello), citava tra i suoi maestri i mafiosi Fidanzati, che stavano a Milano, e Totuccio Contorno, rivendicando però di aver sempre «lavorato in proprio». Guadagnando sin troppo con la droga, eroina e coca: in Svizzera aveva un Renoir e un De Chirico, in Italia si favoleggia del suo tesoro mai trovato, ma non pochi miliardi (in lire) gli vennero sequestrati, insieme con la sua villa sfarzosa.
Conoscenze? Vaste, non è che gli imprenditori del Nord Est rifiutassero di averlo come socio occulto in qualche impresa. «Le banche sapevano chi ero, ma mi davano anche la carta di credito», scherzava lui. Finché, quando quella stagione di sangue, soldi e piombo è finita, ha fatto come molti altri: ha parlato, ha aperto qualche «file» della sua memoria, ha contribuito alla cattura di 400 persone, compreso qualche dipendente dello Stato infedele.
È successo alla fine del ‘94, e cioè in una stagione irripetibile per l´Italia e per le organizzazioni criminali. Sotto il maglio di Tangentopoli, politici e industriali confessavano a ruota libera sul sistema delle mazzette, gente che s´era intascata miliardi di lire faceva due giorni di cella e usciva. Per boss, picciotti e malandrini, uno shock: «Ma io mi sto facendo vent´anni per 50 milioni, c´è qualche cosa che non torna», erano i loro discorsi. Sembrava cambiare un´epoca: sembrava.
«La mia passione era ideare le rapine - diceva Maniero - adesso ciò che conta è solo la mia famiglia»: e lo ha segnato una tragedia familiare, il suicidio quattro anni fa della sua amatissima figlia Elena. Aveva diciott´anni quando il papà aveva «saltato il fosso», diventando un collaboratore, lei aveva dovuto cambiare vita, sparire dal Veneto. A trent´anni, bella e triste, alla fine di un amore - quando l´amore però è una parola che copre altri vuoti e bisogni - Elena non ha resistito più.
«Da un certo punto di vista Maniero è un uomo nuovo, una persona molto provata, ma per saperlo bisognerebbe conoscerlo più a fondo», dice il suo avvocato, Gian Mario Balduin. Ma chi può dire di conoscerlo? Anche Michele Festa, lo «sbirro» veneziano che l´ha catturato per ultimo, lo ricorda come «sensibile e nello stesso tempo cinico», capace di scherzare con una canzone di Lucio Battisti al momento dell´arresto: «Ancora tu? Non dovevamo vederci più…».
Ora, invece, potrà capitare di vederlo anche in giro, anche se lui è e dev´essere prudente: alcuni anni fa era arrivato in Veneto un bazooka per farlo saltare in aria, alcuni vecchi conti con la mala non sono chiusi, forse non si chiudono mai.