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 2010  agosto 22 Domenica calendario

MUHAMMAD YUNUS

Barcellona. Nei suoi sogni di giovane, brillante economista Muhammad Yunus non si vedeva banchiere. A poco più di trent´anni, nel 1972, dopo essersi laureato all´università di Dacca e specializzato negli Stati Uniti, era già direttore della facoltà di economia dell´università di Chittagong, la sua città. Il ´74 fu un anno tragico per il Bangladesh. Morì più di un milione di persone. La grande carestia falciò interi villaggi e su Dacca, la capitale, si riversarono frotte affamate. Fu in quel momento che Yunus iniziò a farsi domande. Decise di frequentare un villaggio, Jobra, vicino al suo campus, per imparare sul campo, per tornare a fare lo studente. «Volevo tenermi aderente al suolo come un verme, invece di librarmi in volo come un uccello», scrisse nel 1997 in Il banchiere dei poveri, il suo primo libro. «A che cosa servivano tutte quelle belle, eleganti e rassicuranti teorie economiche che andavo insegnando se quando uscivo dall´università vedevo la gente morire di fame sotto i portici e lungo i marciapiedi?» si chiede ancora oggi il banker to the poor, il banchiere dei poveri.
È un signore calmo, elegante nella sua consueta camiciona quadrettata con lungo gilet. Ha uno sguardo benevolo, ma vivace. Potrebbe essere un guru, o un nuovo Gandhi. «Sono un uomo d´affari», dice, a fugare ogni dubbio new age. Yunus ha appena compiuto settant´anni (il 28 giugno, dichiarato "Social Business Day"). Ne aveva trentasette quando fondò la Grameen Bank, la prima banca senza ufficio legale, la prima banca al mondo che si è fidata a concedere prestiti ai più poveri della Terra. Tutto è iniziato dalla disperazione del villaggio di Jobra nel ´74. «Avevo chiesto ad alcuni studenti di aiutarmi a stilare liste di persone bisognose. Arrivò Maimuna con un elenco: per ricominciare a vivere, per potersi ricostruire, quarantadue persone avevano bisogno di ottocentocinquantasei taka: ventisette dollari. Ero sconvolto. Diedi i soldi a Maimuna e mandai a dire alle quarantadue famiglie che avrebbero potuto restituirmeli con comodo e senza interessi. Non era ancora quello il mio mestiere».
Dopo tre anni lo divenne. Yunus cominciò, con assistenti che andavano di villaggio in villaggio, a prestare denaro ai poveri i quali lo utilizzavano per i loro microprogetti. Le statistiche, dal ´77 a oggi, dicono che il novantasette per cento di questo denaro è restituito nei tempi, il due per cento in ritardo e l´un per cento «non ha restituito, ma un giorno lo farà» dice Yunus. Il quale accoglie le critiche degli economisti contemporanei con il suo sorriso a labbra chiuse. «Microcredito, miracolo o disastro?» titolava Le Monde nel gennaio scorso. Seguiva un lungo articolo di Esther Duflo, giovanissima star dell´economia francese, la quale - nella parte "disastro" - spiegava come, oggi, i banchieri del microcredito vengano considerati i nuovi usurai e i distruttori delle economie locali; e come i beneficiari del microcredito (più del novanta per cento donne), in realtà, non diventino piccoli imprenditori (come consigliato da Yunus), ma si comprino il frigorifero per casa e, per restituire il prestito, si privino dei miseri surplus della loro vita quotidiana (tè, tabacco, cosmetici). Aggiungendo, però, che soltanto adesso iniziano a essere possibili studi seri e completi sull´argomento.
«Una domanda che mi fanno spesso è: non crede che le multinazionali con le quali collabora usino la sua immagine per ripulire la loro?» dice Yunus, riferendosi alle discusse collaborazioni di Grameen con Danone, Veolia, Basf e Adidas. «Rispondo: grazie a queste società i poveri avranno uno yogurt a basso costo che salverà i bambini dalla denutrizione e un villaggio con acqua potabile, migliaia di persone si copriranno con una zanzariera impregnata di un nuovo potente insetticida e calzeranno il loro primo paio di scarpe al prezzo di un dollaro. Non mi interessa sapere se le multinazionali siano "bravi ragazzi", mi interessa che attraverso il "social business" aiutino i poveri senza pensare di guadagnarci su. Quando dai i soldi in chiesa nessuno ti chiede se li hai rubati».
Oggi la Grameen Bank ha ventisettemila dipendenti in Bangladesh e ha esportato il suo sistema in una sessantina di paesi, anche in Europa e negli Stati Uniti. In Italia, dal 2006 al 2009, il microcredito è aumentato del cinquecento per cento. Nel 2006 Muhammad Yunus ha avuto il Nobel per la Pace (chissà se lo avrebbe preferito per l´Economia, ma sembra irrispettoso chiederglielo) e nel 2008 è uscito il secondo libro: Un mondo senza povertà in cui propone la teoria del "social business". Al quale il nuovo libro, in uscita il 15 settembre (Feltrinelli, traduzione Pietro Anelli, 240 pagine, 15 euro), è interamente dedicato. Le parole ricorrenti di Si può fare! Come il business sociale può creare un capitalismo più umano sono: capitalismo e business, sociale e umano. Un tempo le pensavamo antitetiche.
«Partiamo dall´idea che la povertà sia una imposizione di un gruppo su un altro. La povertà è creata da mancanze imposte per esempio da alcuni istituti finanziari. Le banche di cui parlo rifiutano i loro servizi a due terzi del mondo. Due terzi del mondo, parlo di miliardi di persone. Quando vengono da me una madre analfabeta e una figlia che, grazie al microcredito, va all´università, io penso che anche quella madre avrebbe potuto diventare un avvocato se solo avesse avuto la possibilità di accedere al denaro. Vediamo il capitalismo crollare attorno a noi. La crisi finanziaria ce ne ha mostrato i difetti. Ci ha dimostrato che il sistema del credito così come è oggi può condurci al disastro. Il capitalismo chiede profitti sempre più alti. Il "social business" non chiede profitti e non vuole perdite. Ha obiettivi sociali. Tolte le spese, reinveste ciò che guadagna. Non arricchisce nessuno, ma crede nell´uomo e nella sua capacità creativa (tanto che Yunus viaggerà per un mese seguito da sette giovanissimi studenti dell´Istituto Europeo del Design tra Haiti, l´Albania e la Colombia per creare nuovi strumenti di lavoro con prodotti locali ndr). Lavora per e con i poveri perché solo quando si siede in mezzo alle macerie, quando i bisogni sono reali, si ha davvero voglia di ricostruire. Io non sono contro il libero mercato, ma credo che vada conciliato con aspirazioni umanitarie. Solo così la povertà verrà sconfitta».
Yunus è certo che grazie al business sociale e alla nascita di "società miste" la povertà sarà sconfitta tra il 2030 e il 2050. Va in giro per il mondo, soprattutto nelle università, a predicarlo. In Bangladesh, che resta il paese del quale si occupa di più (in trentatré anni più del dieci per cento degli abitanti è riuscito a uscire dalla miseria) in molti lo considerano un visionario, un pazzo o anche un rompiscatole. Il governo ha però poco raggio di azione sulla Grameen: quando prova a ostacolarla si trova contro i capi degli ottantamila e più villaggi nei quali la banca è stabilita. Il professor Jeffrey Sachs, fondatore del "Millennium project" attraverso il quale le Nazioni Unite si prefiggono di dimezzare la povertà del mondo entro il 2015, dice che non può esserci progresso senza un sistema politico democratico e onesto. «A nessuno verrebbe in mente di chiedere a un verduraio: che rapporto hai con la politica? È un business. Lui vende verdura al mercato e io denaro. Vado avanti seguendo leggi economiche. La politica va avanti a suo modo, ma io non interagisco con lei. A fine giornata devo solo controllare che il denaro rientri. E questo è tutto».
Ma la politica non potrebbe interferire nel suo lavoro? «La polizia può interferire. I religiosi, i professori possono interferire. Viviamo in una società nella quale tutti interferiscono. Ma io credo nell´iniziativa individuale. E allora vado dalla polizia e spiego che quello che faccio è legale. Mostro i documenti, porto gente che spieghi con me. Poi arrivano i religiosi e dicono: perché dai soldi alle donne?». Lei ha iniziato il microcredito concedendo prestiti alle donne, e sulle "Grameen ladies" continua a fare molto affidamento. Sono pochi i paesi musulmani nei quali le donne abbiano accesso al credito. «Ai religiosi spiego che non c´è nulla di male nel dare soldi alle donne, la religione lo permette. La prima moglie del Profeta era una "business woman". E se tu vuoi essere un buon musulmano devi sposare una "business woman" perché il Profeta lo ha fatto. Se non la trovi vieni da noi. Abbiamo un sacco di "Grameen ladies", te le presentiamo, se vuoi». Riesce a convincerli? «Diventano nervosi quando parlo del Profeta. Ma non possono dire: stai mentendo. Perché è così: Maometto lavorava per una signora molto più vecchia di lui, e l´ha sposata. Tutti lo sanno ed è un buon esempio». E la corruzione? «Faccio allo stesso modo. Risolvo individualmente. Scelgo: se la persona con la quale lavoro non fa quello che gli dico, vuol dire che è corrotta e vado da un altro».
Quando ha iniziato il suo "business" aveva trentaquattro anni, adesso ne ha settanta e la sua vita è assai più complicata. Non è mai stanco? «Mai. È talmente eccitante quello che faccio. Amo il mio lavoro, lo vedo accadere, tocco la vita della gente». È religioso? «Non esattamente». Segue una dieta? Pratica lo yoga? «Sono molto indisciplinato. Mangio tutto e, di tanto in tanto, mi concedo anche un bicchiere di vino. Non è la mia abitudine o la mia cultura e se non mi piace non lo bevo. Non è una questione religiosa». Perché la Grameen Bank non ha un testimonial importante? Perché lei non ha attorno una corte di star di Hollywood, del calcio o del rock? «Nessuno si è proposto. Forse pensano che non si troverebbero bene. Ma, se proprio devo dire, non mi mancano».