Federico Rampini, repubblica.it 23/8/2010, 23 agosto 2010
NEW YORK
Se ne producono 130 miliardi all’anno solo in America. Negli anni Sessanta Andy Wharol ne fece il simbolo della società dei consumi e un’icona della pop-art. Ancora prima, senza di lei forse non ci sarebbero state la conquista del West, la febbre dell’oro, le esplorazioni artiche. Compie 200 anni domani la lattina, e lo scienziato dell’alimentazione John Floros della Pennsylvania State University le rende un omaggio solenne: "Senza questo strumento di conservazione del cibo non esisterebbe la civiltà moderna, il flagello della fame e le malattie ci avrebbero sopraffatti". Il Washington Post azzarda perfino che "la marcia della civiltà occidentale e la prosperità dell’America poggiano su quel piccolo oggetto che voi tenete nel terzo scaffale della dispensa". Umile, indispensabile eppure bistrattata (quanti calci s’è presa!), anche sottovalutata.
Nel sondaggio indetto dalla Bbc sul "trionfo delle tecnologie" la scatola di conserva non appare neppure tra le dieci invenzioni più importanti dall’Ottocento ai nostri giorni. Transistor e computer, Internet e satelliti, antibiotici ed energia nucleare dominano la classifica, nessuno ha pensato di votare per lei. Forse i risultati sarebbero diversi se c’interrogassero mentre siamo naufragati su un’isola deserta, o accampati sotto una tenda nel deserto, o in marcia su un altopiano del Tibet... e affamati? Quanti senzatetto si sfamano aprendo quelle scatolette?
Dai tempi dei nostri progenitori nelle caverne l’uomo cerca di risolvere il problema cruciale per la sua sopravvivenza: come conservare il cibo. A partire da duemila anni fa ha trovato soluzioni parziali come essiccare il grano, affumicare la carne, salare il pesce. Tutti metodi ancora in uso oggi ma non infallibili per evitare la putrefazione, la muffa, i germi. Sono le imprese napoleoniche - sì, ancora una volta i militari - a stimolare l’innovazione decisiva. L’armata francese in guerra contro Inghilterra, Prussia, Austria e Spagna è decimata non solo dai combattimenti ma dalla malnutrizione. Una ricompensa di 12.000 franchi viene offerta a chi risolverà il problema della conservazione delle scorte alimentari. Un cuoco parigino, Nicolas Appert, inventa la tecnica per uccidere i fermenti riscaldando gli alimenti e poi sigillandoli sotto vuoto. Inizialmente nel vetro. Napoleone in persona gli consegna il premio, nel 1810.
Tocca all’inglese Peter Durand, nello stesso anno, brevettare la versione finale: la conserva diventa metallica. Una modifica che a partire dal 1820, con l’adozione della lattina in America, si rivela decisiva per la sua industrializzazione: la produzione di massa nell’industria dell’alimentazione in scatola. Con degli abusi, certo. Lo scrittore di idee socialiste Upton Sinclair all’inizio del Novecento documenta gli orrori del "meatpacking" a Chicago, dove i capitalisti si arricchiscono esportando nel mondo intero scatolette di carne dal contenuto spesso inconfessabile.
Nonostante tutto la lattina s’impone, la usano nell’Ottocento i grandi esploratori come Sir John Rose e Otto von Kotzebue; i cercatori d’oro sulla Sierra Nevada californiana; i nostri emigranti che traversano l’Atlantico nelle stive di terza classe dei bastimenti in cerca della terra promessa. Della sua epoca trionfale restano tracce nell’immaginario cinematografico: dalle gare di tiro a segno fra i cow-boy di John Ford o di Sergio Leone, fino all’inseparabile lattina di birra di Jeff Bridges in "The Great Lebowski" dei fratelli Cohen. È anche diventata eco-compatibile, grazie all’adozione di alluminio riciclabile. A New York il consumatore che le restituisce ha diritto a cinque centesimi di rimborso. L’equivalente di un anno di lattine serve a illuminare Washington per 3,7 anni. È egualitaria: i surgelati, più recenti e più "glamour", hanno bisogno di un ciclo del freddo che consuma tanta energia e non è praticabile nei paesi poveri delle aree tropicali. Come reperto muto ci descrive per quello che siamo: del nostro passaggio dopo un concerto-rock, una partita di calcio o un weekend di turismo di massa, restano solo lattine vuote sull’erba di un prato.
(24 agosto 2010)