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 2010  agosto 21 Sabato calendario

A SHUTKA, CITTÀ DEI ROM MATTONI E CEMENTO AL POSTO DELLE ROULOTTE - SKOPJE

La terra promessa dei rom sorge tra un cimitero e una discarica, ha richiamato già ottantamila nomadi e perciò è entrata nella storia di quel popolo come il suo insediamento più affollato. Salvo poche baracche di lamiere, che servono agli ultimi arrivati, tutti possiedono case in muratura, con elettricità e acqua corrente. Degli ottantamila, la metà vive al di sotto della soglia della povertà, il 90 per cento è analfabeta e il 95 per cento disoccupato. Sono percentuali da quarto mondo: eppure in questo paesino percepisci ovunque l´orgoglio di chi intende dare finalmente una patria a una nazione da sempre sparpagliata.
Così, quella che fino a pochi anni fa era la periferia più povera di Skopje, capitale della Macedonia, è diventato il primo comune rom della storia. Un ghetto? «Sì, ma un ghetto urbanizzato», ci dice Erduan Iseini, sindaco di Suto Orizari, che tutti abbreviano in Shutka. «Abbiamo infranto il luogo comune che ci vuole randagi, mendicanti e ladri. Soprattutto, abbiamo dimostrato che siamo capaci di vivere in una società moderna e democratica».
A Shutka, i rom usano il loro alfabeto e il romanes, antico idioma di origini indiane, è diventato la loro lingua ufficiale. Hanno due televisioni, un giornale, una stazione di polizia. «Per essere come gli altri ci manca solo una fabbrica». Già, se non fosse per la carnagione color tabacco dei suoi abitanti e per i cumuli d´immondizie che colonizzano le strade, Shutka sembrerebbe una qualsiasi cittadina balcanica. C´è una pasticceria, un fornaio e una macelleria, dove però non si vende carne di maiale, poiché la maggior parte dei rom macedoni è musulmana. C´è anche un Internet caffè, per dialogare con i parenti rimasti all´estero. Alle porte della cittadina un mercato espone merci di contrabbando, per lo più fabbricate in Cina. E ogni famiglia sopravvive del suo piccolo commercio, sia esso di scarpe spaiate o lavatrici usate.
All´angolo tra via Rousseau e via Garibaldi abita Saha Beyta che dieci anni fa, assieme al marito a ai suoi tre figli, fu espulsa dal campo rom di Merano. Arrivò sprovvista di tutto, senza neanche un documento d´identità. «Qui mi sento finalmente a casa, ma non c´è lavoro e la sera riesco ad apparecchiare la cena per la mia famiglia solo grazie ai sussidi dello stato macedone, non più di 50 euro al mese», dice la donna. Ridurre la disoccupazione, che a Shutka raggiunge cifre da primato, è una delle priorità dell´amministrazione comunale, ed è senz´altro la più spinosa perché nel resto della Macedonia il 50 per cento della popolazione è senza lavoro. Nel frattempo molti abitanti si arrangiano raccogliendo bottiglie di plastica, carta e cartone nella discarica che circonda l´agglomerato.
Shutka nacque da un evento tragico, il terremoto che nel 1963 distrusse Skopje. I rom che da secoli vivevano nel quartiere di Topana furono trasferiti a ridosso delle colline, lontano dal centro. E qui rimasero. Nel 1996, il governo macedone riconobbe ufficialmente la prima municipalità rom del pianeta. Da allora, a ondate successive, ne sono arrivati a migliaia. Alcuni fuggivano dalla Serbia, altri dal Kosovo, altri ancora dalla Bulgaria. Molti sbarcarono in Macedonia dopo essere stati buttati fuori dall´Europa opulenta. Quelle vicissitudini li hanno finalmente sedentarizzati. «Frutto di diverse ondate migratorie, Shutka oggi ospita dodici tribù rom. Ma il suo sviluppo è stata troppo veloce. È diventata una piccola città troppo in fretta», spiega il sindaco. La somma di sovrappopolazione e mancanza di lavoro, aggiunge, «ha prodotto una povertà fisica e morale. Mancano i soldi per garantire una casa a tutti, un liceo ai nostri figli, un letto d´ospedale ai nostri padri».
Hai l´impressione che gli abitanti di Shutka godano di ogni diritto, anche se il budget cittadino non raggiunge i 40.000 euro, non c´è una biblioteca e solo una decina di rom frequenta l´università di Skopje. L´eccezione si chiama Nezdet Mustafa: laureato in filosofia e in scienze politiche, dopo esser stato il primo sindaco di Shutka, da anni è l´unico deputato rom al parlamento macedone. Dice Mustafa: «Per secoli il nostro popolo è vissuto di carità e ha subito orrende persecuzioni. Ma adesso, per la prima volta, siamo noi a scrivere la nostra storia». A Shutka, racconta, la delinquenza è più bassa che a Parigi o Londra e le moschee sono sempre piene. Mustafa è convinto che prima o poi convincerà il Parlamento a garantire alla terra promessa dei rom la raccolta dei rifiuti e un´assistenza sanitaria adeguata ai bisogni della popolazione. «Il nomadismo è finito, siamo diventati stanziali. Adesso dobbiamo combattere per ottenere quanto ci spetta».
Un piccolo prefabbricato alle porte della cittadina ospita l´ong cattolica della Caritas tedesca. La responsabile, Klara Mischel Ilieva, si dice scettica sul futuro sulla patria rom. «Tutto dipende dall´educazione che riceveranno i loro bambini. Bisogna puntare su di loro. Al momento, nelle scuole di Shutka ci sono cinquemila alunni, ma le antiche tradizioni spesso si scontrano con la modernità. Molte ragazzine, per esempio, vengono tolte dagli studi quando sono giovanissime, per essere date in sposa».
Ci sono poi bambini che arrivano dall´Italia, dal Belgio o dalla Germania, e a dodici anni non sanno né leggere né scrivere, perché non sono mai entrati in un aula scolastica. «C´è ancora molto da fare. Soprattutto per cambiare la mentalità della gente: va bene insegnare ai bambini il romanes, ma non a scapito dell´inglese. Il mondo sta offrendo ai rom una grande opportunità. Non devono lasciarsela sfuggire».
La redazione di Shutel, una delle due emittenti private della città, consiste in una cantina trasformata in studio televisivo. Le sue trasmissioni coprono tutta la Macedonia e sono guardate da circa 25mila spettatori. La tv combatte un´altra battaglia per la causa rom: standardizzare il romanes, che non è una lingua, ma una miriade di varietà linguistiche, tutte derivanti da una comune matrice indiana. «Fino a pochi anni fa non lo parlava quasi nessuno perché ognuno resta fedele al proprio dialetto, sia esso bulgaro, kosovaro, macedone, croato o turco. Per esempio i sinti, che vivono in Italia da secoli, parlano un romanes ricco di vocaboli italiani. Adesso, grazie ai nostri talk-show e ai nostri programmi d´attualità politica il romanes lo capiscono in molti», ci racconta Saip Haim, direttore di Shutel.
Nei giorni in cui la Francia ha avviato un controverso programma di espulsione di rom, c´è da chiedersi se il modello Shutka sia esportabile altrove. Sì, dice Nezdet Mustafa, «a condizione che ci sia la volontà di integrare i rom e di liberarsi dei pregiudizi che li hanno sempre accompagnati». Più utopistica è la risposta dell´attuale sindaco: «Vorrei che i rom venissero tutti a Shutka, perché nel resto d´Europa sono considerati un popolo inferiore e pericoloso che genera soltanto criminali, prostitute e tossicodipendenti». Quanto meno, qui godrebbero del rispetto che si meritano.