Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 21 Sabato calendario

1 articolo + tabella - "SIAMO DISPONIBILI A TRATTARE" NETANYAHU E ABU MAZEN "COSTRETTI" AD ACCETTARE L´INVITO - GERUSALEMME - Scetticismo a malapena stemperato

1 articolo + tabella - "SIAMO DISPONIBILI A TRATTARE" NETANYAHU E ABU MAZEN "COSTRETTI" AD ACCETTARE L´INVITO - GERUSALEMME - Scetticismo a malapena stemperato. Reciproca diffidenza. È questa l´atmosfera con la quale è stato accolto l´invito della Casa Bianca e del Quartetto a colloqui diretti fra israeliani e palestinesi il prossimo 2 settembre. L´annuncio era nell´aria da giorni, ma nessuno dei due protagonisti - il premier israeliano Benjamin Netanyahu e il presidente dell´Anp Abu Mazen - è sembrato entusiasta dell´invito. Anzi, entrambi sembrano essere stati trascinati per i capelli dal presidente Barack Obama e dal suo infaticabile emissario, l´ultrasettantenne George Mitchell. L´invito non rappresenta ancora nulla rispetto agli ostacoli da superare entro un anno al tavolo delle trattative. Poco prima che iniziasse lo shabbat Netanyahu ha annunciato di aver accettato l´invito americano, ma le sue parole sono state scelte con cura: «Raggiungere un accordo di pace è difficile ma non impossibile, andiamo a Washington con il desiderio autentico di raggiungere la pace tra due popoli continuando a perseguire gli interessi nazionali di Israele e della sua sicurezza». Più tardi il suo portavoce ha aggiunto: «È chiaro che il premier è lieto del chiarimento della Casa Bianca riguardo al fatto che ai colloqui non devono essere poste precondizioni». Le precondizioni al dialogo sono quelle che il capo dei negoziatori palestinesi Saeb Erekat spiega al telefonino mentre da Gerico sta raggiungendo Ramallah per la riunione del Comitato esecutivo dell´Olp, l´organismo palestinese deputato al negoziato di pace. «E´ il Comitato esecutivo che deve dare il suo sì, per parte mia posso dire che non è importante la forma ma il contenuto del dialogo. In ogni caso nell´invito mi sembra ci siano elementi necessari per arrivare a un accordo di pace». Certo è mancato nell´invito americano quello che chiedevano i palestinesi (e che hanno chiesto per tutti questi 19 mesi di gelo), cioè lo stop alla costruzione di nuovi insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Erekat non sfugge alla domanda ed esprime un auspicio: «Speriamo che il Quartetto continui le sue pressioni perché Israele fermi la costruzione di nuove colonie sulla nostra terra e si possa passare davvero dalle parole ai fatti». Per l´Anp, come per la comunità internazionale, questi insediamenti sono tutti illegali. Ma oggi contano in totale ben 600.000 abitanti (300.000 in Cisgiordania, quasi altrettanti a Gerusalemme est). Nel recente passato si è discusso d´un possibile compromesso, con il compattamento degli insediamenti più numerosi, lo sgombero degli altri e uno scambio di territori. Ma Netanyahu, a differenza del suo predecessore Olmert, deve rispondere a un partito - il Likud - e a una coalizione a maggioranza di destra che avversa ogni concessione significativa. E che non nasconde la sua affinità ideologica col movimento dei coloni. È sulla affermazione fatta a Washington dei «due Stati entro un anno» a cui sono appese le speranze dei palestinesi. Indicato dalla comunità internazionale come il traguardo finale di tutti i negoziati, da più di dieci anni rappresenta se non altro uno slogan condiviso. Anche Netanyahu, dopo averlo avversato per anni, ha deciso di adottarlo in un discorso tenuto nel 2009 all´Università Bar Ilan di Tel Aviv. In cambio, chiede che la futura entità palestinese nasca come Stato disarmato. I moderati dell´Anp non hanno obiezioni su questo punto, e sono pronti ad affidare i propri confini a un contingente militare della Nato, come ha affermato recentemente Abu Mazen. Le fazioni palestinesi, i "duri" che hanno i loro uffici a Damasco, hanno voluto riaffermare il loro no, anzi lanciano un appello al boicottaggio ai colloqui, diretti o indiretti. Stesso tono rimbalza dalla Striscia di Gaza, dove Hamas chiude le porte alla trattativa. «Non ci sentiamo impegnati da questa imperiosa chiamata al dialogo», dice secco al telefono Sami Abu Zuhri, portavoce del movimento integralista. Ma evita, almeno per una volta, di lanciare anatemi e definire «traditori» i palestinesi che in questi anni hanno scelto il dialogo. Tabella: I nuovi insediamenti a Gerusalemme Har Homa 117 nuove case Neve Yaakov 377 nuove case Pisgat Zeev 198 nuove case Gerusalemme Est 2.700 nuove case Lo status di Gerusalemme La città santa è contesa tra israeliani e palestinesi: entrambi la vorrebbero capitale dei rispettivi stati. L’ipotesi di dividerla in due non è mai passata nei precedenti negoziati. Le colonie I Palestinesi chiedono il congelamento delle colonie israeliane e lo smantellamento di parte di esse. Israele rifiuta. Il diritto di ritorno. I palestinesi chiedono che venga riconosciuto, in via di principio, il diritto al ritorno dei palestinesi fuggiti o espulsi dalle terre dell’attuale Israele. Gli israeliani rifiutano il principio.