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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

Segrate sotto assedio un caso di coscienza - Esiste di nuovo un «caso di coscienza» degli autori Mondadori-Einaudi? La domanda, ciclica e un po’ collettivistica, è stata riproposta da Vito Mancuso, teologo, direttore di collane mondadoriane, dopo che un’inchiesta di Repubblica aveva raccontato la storia dell’ultima delle leggi ad personam del centrodestra berlusconiano

Segrate sotto assedio un caso di coscienza - Esiste di nuovo un «caso di coscienza» degli autori Mondadori-Einaudi? La domanda, ciclica e un po’ collettivistica, è stata riproposta da Vito Mancuso, teologo, direttore di collane mondadoriane, dopo che un’inchiesta di Repubblica aveva raccontato la storia dell’ultima delle leggi ad personam del centrodestra berlusconiano. Si tratta del decreto 40, che consente alle aziende editoriali di sanare contenziosi col fisco pagando il 5% all’Agenzia delle Entrate. In questo modo Mondadori è uscita da una vertenza nata diciannove anni fa pagando solo 8,6 milioni, invece di 350. C’è uno strano e surreale clima d’assedio nella Segrate di mezza estate. Il management replica convinto delle proprie ragioni: «Mondadori non deve al fisco alcunché perché, in presenza di un contenzioso con l’Agenzia delle Entrate, ben due gradi di giudizio – maggio 1996 e luglio 1999 – hanno confermato le nostre buone ragioni». In sostanza, l’azienda avrebbe usufruito di una normativa esistente, e identica per tutti i soggetti editoriali. La risposta però non convince tutti gli scrittori della galassia Mondadori-Einaudi. Esiste un’intellighenzia che si sente assediata, o dubita se continuare a collaborare col Diavolo? Gli scrittori alternano riflessioni, qualche imbarazzo, accanto a sorprendenti rivendicazioni mondadoriane dure e pure. Il più fine giurista, Gustavo Zagrebelsky, autore di memorabili saggi einaudiani, confessa: «Sono molto incerto se restare. Ci sono buone ragioni pro e contro. Certo la risposta di Mondadori non persuade. È vero, l’azienda ha goduto di una legge uguale per tutti, ma il punto è che quella legge proviene direttamente dallo stesso uomo che è proprietario della casa editrice e presidente del Consiglio. Tutto rimanda al gigantesco conflitto di interessi di Berlusconi». Riflette Zagrebelsky, ostile come sempre alle semplificazioni: «Chi come me scrive non di etica come Mancuso, ma di diritto e legalità, ha sempre trovato in Einaudi interlocutori di grande valore, e creato un rapporto di fiducia che va oltre la questione della proprietà. Qui tuttavia non siamo più al semplice problema del proprietario, ma a un problema che riguarda l’azienda tutta, come viene gestita. Occorrerebbe interrogarsi in modo sistematico, anche con gli altri dirigenti di case editrici. Magari a Mantova, a settembre. Prima di prendere decisioni». Nessuna opzione sembra esclusa. Perdere Zagrebelsky sarebbe ovviamente, quello sì, un caso. Perché poi sono tanti gli scrittori che articolano il tema in altri modi. Uno di loro, forse il più icastico, è Alberto Asor Rosa, principe degli italianisti, anche lui storico scrittore einaudiano («Ho scritto solo una volta con Mondadori, e prima dell’avvento di questa proprietà...»): «E va bene», sferza, «Mancuso scrive di etica, io, che scrivo di letteratura, una materia libertaria, libertina, continuerò tranquillamente a pubblicare per Einaudi. Ho un rapporto di totale fiducia con editor e redazione, costruito in tanti anni in cui nessuno ha mai toccato nulla dei miei lavori». Un comunista come lui è sicuro: «Non credo neanche che siamo al regime; il fascismo gli scrittori li cacciò, qui non mi risulta che il proprietario abbia toccato nulla in Einaudi, o chiesto di cacciare autori sgraditi... Tra l’altro io appartengo a una tradizione che preferisce essere cacciata, piuttosto che rinunciare spontaneamente alla battaglia culturale». Entrano allora in questa querelle argomenti come il rapporto di fiducia editoriale - Corrado Augias per esempio premette che sì, «tutto discende dal conflitto d’interessi di Berlusconi, che però andrebbe affrontato dalla politica». Ma è innegabile che «il rapporto editoriale è qualcosa di molto diverso da un rapporto commerciale, è fatto della fiducia tra scrittore e staff editoriale. E io sono vecchio per cambiare questa fiducia creata in tanti anni, e mai venuta meno, in Mondadori». Insomma, «Mancuso pone un problema serio; ma lo semplifica troppo». Ernesto Franco, direttore editoriale di Einaudi, è in vacanza in Grecia, preferisce aspettare il rientro per chiarirsi i termini della questione. La casa dello Struzzo viene periodicamente coinvolta nella polemica - fin dal ’94, quando, all’avvento del Cavaliere, fu abbandonata da uomini come Corrado Stajano e Carlo Ginzburg, o negli ultimi casi dei rifiuti ai libri critici sul premier (per esempio di Saramago, o di Marco Belpoliti). L’ultima era stata al Salone del Libro, con l’appello degli editori contro la legge bavaglio: fu firmato da tutti tranne da Mondadori e Einaudi, appunto. Giuseppe Laterza, che con Stefano Mauri promosse quel testo, ragiona: «Il caso sollevato da Mancuso è parente di quello proposto dal nostro appello. Io rispetto, ovviamente, gli autori Mondadori o Einaudi che decidono di restare, non c’è in me alcun moralismo. Pongo però loro una domanda: è una situazione compatibile con la libertà di mercato editoriale quella in cui l’arbitro è anche uno dei giocatori delle due squadre? Credo che siamo in una situazione di eccezionalità che altera il funzionamento di una democrazia, e il dubbio dovrebbero porselo non solo gli scrittori, ma anche tutti quelli che hanno rapporti con questa anomalia, editori, distributori». Cita l’esempio del grande Paolo Sylos Labini. «Sorprende - lamenta Laterza - che quando lanciammo quell’appello al Salone, Franco ci accusò di fare un’operazione di marketing: col che tradiva una logica ormai puramente commerciale». Cosa faranno ora i Saviano, l’autore più fortunato nelle vendite, i big come Eugenio Scalfari o Federico Rampini, che è all’estero e «ci sto pensando», i comunisti integrali come Pietro Ingrao e Rossana Rossanda, autori di memorabili biografie tutte con Einaudi? Un comunista tout court come Piergiorgio Odifreddi, autore Mondadori, si diverte a sorprendere: «Io resto, tranquillamente resto. Di favori dalla politica ne ha avuti solo la Mondadori, o anche altre aziende editoriali, altri grandi gruppi, la stessa Chiesa cattolica - cui Mancuso si vanta di appartenere - con l’otto per mille, che equivale a un miliardo l’anno, molto più del debito mondadoriano? La verità è che Berlusconi non fa nulla di diverso da ciò che hanno fatto gli altri capitani d’industria italiani, compresi quelli editoriali. Allora la vera domanda da farsi sarebbe un’altra. È giusto collaborare col Capitale?». Come dire, dall’uovo si finisce in un istante alla guerra atomica, da Berlusconi dritti dritti addirittura a Marx.