SANDRA RICCIO, La Stampa 23/8/2010, pagina 9, 23 agosto 2010
Il call center indiano sceglie gli Usa - Imprenditori indiani e mercato del lavoro negli Stati Uniti? Un idillio appena nato
Il call center indiano sceglie gli Usa - Imprenditori indiani e mercato del lavoro negli Stati Uniti? Un idillio appena nato. A far sbocciare la strana intesa ci ha pensato la crisi economica in America: la ripresa che stenta a decollare e i tassi di disoccupazione saliti alle stelle hanno dato un brutto taglio ai salari nei settori americani più a basso costo. Tra questi c’è anche quello dei Call center dove, negli ultimi due anni, le già misere paghe si sono abbassate ancora di più. La tendenza non è sfuggita agli imprenditori indiani del settore che ora vogliono trasferire parte della propria forza lavoro in America. Fino a poco tempo fa le rotte del lavoro seguivano il percorso inverso, ma la crisi ha cambiato anche questi percorsi. Oggi sono gli indiani ad approfittare dei bassi livelli di reddito in Usa e possono già speculare sugli altri probabili tagli all’orizzonte americano. In più trasferendosi Oltreoceano riusciranno anche a sfuggire ai progressivi rincari dei salari nel proprio Paese. Qui, a differenza di quanto succede nella gran parte dei Paesi industrializzati, le paghe sono in costante crescita. Del resto l’economia indiana la crisi non l’ha quasi vista. Anzi. Nell’ultimo trimestre il Paese ha messo a segno una crescita boom che è stata più del doppio di quella americana con un incremento dell’8,6% e che, stando alle stime, proseguirà allo stesso ritmo anche negli anni a venire. Tra gli effetti della robusta dinamica c’è anche quello di un rincaro degli stipendi in molti settori. In quello dei Call-center la tendenza è già in corso: solo da gennaio c’è stato un aumento dei salari del 10% che va a sommarsi ai tanti rialzi che c’erano già stati negli anni precedenti. I callcenteristi indiani rischiano quindi di diventare troppo cari. I loro capi settore già costano più che negli Usa. Per questo, pochi giorni fa, Pramod Bhasin, numero uno di Genpact, la più grande società indiana di outsourcing, in un intervista al Financial Times ha detto di voler spostare i posti di lavoro negli Stati Uniti. Nei prossimi due anni, il manager indiano, assumerà in America 5 mila nuovi callcenteristi. Non è il solo ad aver preso questa strada. Sresh Vaswani, della società tecnologica indiana Wipro Technologies, gli ha subito fatto eco dicendo che già nei prossimi due anni più della metà dei suoi lavoratori sarà impiegato fuori dai confini dell’India, e possibilmente negli Usa. Una piccola cura asiatica per un Paese che sta cercando di rianimare il proprio mercato del lavoro. Il tasso di disoccupazione negli Usa oggi è al 9,5% ma secondo gli analisti il livello dei senza lavoro sarebbe ben più alto e arriverebbe fino a quota 17% se nel calcolo si sommano anche tutti quelli che hanno ormai rinunciato a cercare un impiego. Intanto ieri l’Ocse ha lanciato un nuovo allarme sull’occupazione. Secondo l’organizzazione parigina, per riportare il mercato occupazionale dei Paesi industrializzati ai livelli precedenti alla crisi servono 15 milioni di posti di lavoro, entro il 2011. In alcuni Paesi, ha sottolineato l’Ocse, stanno crescendo i timori su una ripresa «senza lavoro» e su una disoccupazione che diventi «strutturale nel lungo periodo». A questo punto una soluzione potrebbe arrivare proprio dalle economie emergenti, tanto più che gli indiani all’assalto del mercato del lavoro Usa hanno spacciato la loro avanzata come una sorta di «aiuto allo sviluppo» all’America. «Viste le difficoltà economiche, bisogna aver compassione degli americani e dar loro una mano», ha detto l’imprenditore indiano Bhasin.