Glauco Maggi, La Stampa 23/8/2010, pagina 9, 23 agosto 2010
Che affare il microcredito - È come se il sistema bancario stesse vivendo una sua rifondazione dopo il fiasco della generazione del 2008, quella supersofisticata degli Abs, dei Cdo e delle altre sigle inventate per non far capire agli investitori dove mettevano i loro soldi
Che affare il microcredito - È come se il sistema bancario stesse vivendo una sua rifondazione dopo il fiasco della generazione del 2008, quella supersofisticata degli Abs, dei Cdo e delle altre sigle inventate per non far capire agli investitori dove mettevano i loro soldi. Non a caso la resurrezione avviene in India, paese emergente con un mercato di masse di poveri cui è negato il prestito di denaro puro e semplice, la funzione basilare della finanza. Alla Borsa di Mumbai, in India, c’è stato il battesimo, con la quotazione della Sks Microfinance, fondata da Vikram Akula nel 1998 come un’organizzazione di carità e trasformata nel 2005 in impresa commerciale specializzata nella microfinanza. «Metti i tuoi soldi nelle mani dei poveri e farai un sacco di soldi», è lo slogan di Akula, studi in America e un passato di consulente della McKinsey. La prossima tappa potrebbe essere la quotazione anche a Wall Street. I critici inorridiscono, citando il tasso di interesse effettivo attorno al 28% sui mutui erogati, da 43 a 260 dollari ognuno, mentre Sks paga il 14% alle banche per il cash da dare ai nuovi clienti. Muhammad Yunus, economista del Bangladesh che ha vinto nel 2006 il Nobel per aver promosso la microfinanza nel suo paese è contrario alla Borsa: «Il microcredito non dovrebbe essere presentato come una opportunità di far soldi. E’ per avere un impatto sulle vite della gente e l’Ipo dà il messaggio sbagliato». Comunque sia, lunedì scorso l’Ipo Sks è andata molto bene, la migliore sul mercato indiano dal marzo scorso con una raccolta di 358 milioni di dollari. Le richieste sono state 13,7 volte l’offerta, e il prezzo di 985 rupie il massimo della forchetta prevista. Aveva visto giusto George Soros, che della Sks è stato uno degli azionisti maggiori insieme al venture capitalist Vinod Khosla e al fondatore di Infosys Narayana Murthy: il primo giorno di quotazioni il titolo ha chiuso con l’11% di guadagno. Il successo di Sks ha spinto la seconda “banca per poveri” indiana, Spandana Sphoorty Financial Ltd, a assumere Citigroup, Jp Morgan Chase e Jm Financial per gestire la sua Ipo, con l’obiettivo di raccogliere 400 milioni di dollari. In India il potenziale di sviluppo dei microprestiti è enorme. Il 40% della popolazione di 1,2 miliardi vive con meno di 1,25 dollari al giorno e, dice Akula, «ci sono 150 milioni di nuclei familiari di cui solo 22 hanno accesso a finanziamenti tradizionali». Per ora i clienti della Sks sono 7 milioni, a cui sono stati prestati 3200 milioni di dollari. Il tasso di non restituzione è un risibile 1%. La filosofia della Sks, una tra le 400 istituzioni indiane della microfinanza che servono circa una settantina di milioni di famiglie, è di dare alle donne poverissime la possibilità di avviare microimprese, nei loro villaggi, capaci di produrre reddito vero sollevando le proprie condizioni economiche. Non è assistenza a fondo perduto ad una classe di diseredati, ma una offerta su base individuale che fa leva sulla carica e capacità personale di chi se la sente di diventare imprenditrice. Nel sito della Sks c’è una vasta galleria di volti, di nomi e di storie di successo: fioriste, fabbricanti di materassi, artigiane con assunzioni di aiutanti.