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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

“Squadristi” contro “futuristi” nella Repubblica delle gaffes - Il lavoro rende liberi. Non ricordo dove lessi questa frase, ma fu una di quelle citazioni che ti fulminano all’istante

“Squadristi” contro “futuristi” nella Repubblica delle gaffes - Il lavoro rende liberi. Non ricordo dove lessi questa frase, ma fu una di quelle citazioni che ti fulminano all’istante...». Sarà difficile scalzare dal gradino più alto del podio Tommaso Coletti, ex senatore della Margherita ed ex presidente della Provincia di Chieti, che nel 2006 scrisse un dépliant sul precariato e citò «Arbeit macht frei»; non sapeva che è la scritta affissa al cancello di Auschwitz. Tuttavia, nel campionato del peggior slogan della nostra vita, a destra ci danno dentro. Le brambilliane Squadre della Libertà, che vigileranno sui seggi elettorali, saranno costituite da squadristi? O ispireranno Compassi della giustizia e Grembiulini del federalismo? Le ironie arrivano via sms, anche dai finiani, che però si fanno chiamare futuristi (poiché il loro gruppo è Futuro e Libertà) che, ai tempi belli, si distinsero in politica dichiarando la guerra «sola igiene del mondo». Dunque, squadristi contro futuristi, ma da quelle parti ci si è fatto il callo: dopo Fiuggi, con la nascita di An, gli ex missini, saloini compresi, furono detti alleati. I tic si notano. E pure a sinistra. Tutti ricordano il «Si può fare» veltroniano del 2008, copiato dal «Yes, we can» di Barak Obama, a sua volta copiato dal «Yes, you can» con cui Microsoft sostituì (ottobre 2001, un mese dopo l’attacco alle Torri Gemelle) un terrificante «Prepare to fly», preparati a volare. A Roma fu subito tradotto con un poco entusiasta «se po’ fa’» e Franco Giordano, allora segretario di Rifondazione Comunista, rilanciò come a poker: «Il nostro slogan sarà: si può fare... di più». Sinistra Critica, quella di Franco Turigliatto, rimase in zona con un «Perché no?». E a nessuno venne in mente che la primogenitura è dei bertinottiani, Regionali del 2000, quando fu coniato «Invece si può». Tutto quello che oggi resta è il «No, we can’t» (no, non possiamo) con cui i repubblicani d’America canzonano il Presidente. A sinistra la storia dell’autogol per motteggio è inesauribile. Il capolavoro fu dei Democratici del 2000 - quelli fondati da Arturo Parisi, Antonio Di Pietro e Francesco Rutelli - che per simbolo scelsero l’Asinello e per slogan «Voliamo alto». Nel 1997, a un congresso del Pds, fu esibita una frase di Rainer Maria Rilke: «Il futuro entra in noi molto prima che accada», e al terzo giorno Pietro Marcenaro avvertì l’allibita platea: «Guardate che parla della morte». Non era vero, ma bastò. Nel 2006 qualche decina di migliaia di manifestanti occupò piazza del Popolo indossando la maglietta con sopra scritto «io sono un coglione». Rispondevano a Berlusconi («Chi vota a sinistra è un coglione»). Riviste oggi, però, le foto con quelle magliette e quelle bandiere fanno una certa impressione. Come impressionò la decisione di Pierluigi Bersani: per le primarie volle «Un senso a questa storia», dalla canzone di Vasco Rossi, e nonostante la strofa successiva reciti «anche se questa storia / un senso non ce l’ha». Indimenticabile, poi, è stata la breve vita della Gad (Grande alleanza democratica, 2004), che si disse ispirata al Gra (Grande raccordo anulare). Era il listone dell’Ulivo per le Europee. Lo slogan fu «Uniti per unire» e subito Alfonso Pecoraro Scanio propose un desolante «Uniti al 51%». Del resto Giorgio La Malfa nel 1992 varò il Partito degli Onesti. Immediatamente dopo venne indagato (e condannato per finanziamento illecito). E Forza Italia, prima di essere il partito berlusconiano, fu un movimento della Napoli del dopoguerra, «di simpatie neofasciste. I miei contatti a Benevento lo liquidano con disprezzo come l’ennesimo, fanatico movimento di destra appoggiato dai proprietari terrieri e dalla mafia rurale, in questo caso capeggiata da un latifondista suonato che sostiene di essere la reincarnazione di Garibaldi», come scrisse Norman Lewis, dei servizi segreti britannici. Ma fu anche un documentario scritto nel 1977 da Antonio Padellaro e Carlo Rossella, allora giovani comunisti. Rimane da segnalare l’augurio pre manovra di Rifondazione (2006): «Anche i ricchi piangano». Seguito, l’anno dopo, dall’uscita di Tommaso Padoa Schioppa ospite di Lucia Annunziata: «Le tasse sono bellissime». Oppure la noncuranza di Carlo Sborra, consigliere comunale del Pdl di Orvieto, che in campagna elettorale diffuse il volantino con foto e invito: «Comunali 2009, scrivi Sborra». Prese cinquantotto voti. E vale la pena chiudere con un gioiello della réclame: anno 1996, la Germania ha appena vinto gli Europei di calcio con il gol della «morte improvvisa», quello che, segnato nei supplementari, chiude la partita senza possibilità di replica. La Bayer lanciò il suo nuovo insetticida: «La morte immediata è una specialità tedesca». E anche lo spot non campò a lungo.