Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 23/8/2010, pagina 72, 23 agosto 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
2 giugno 1946
L’ostetrica Palmiro
Monarchia o Repubblica? L’Italia si mette in coda sotto il sole e per la prima volta ci sono anche le donne: qualcuna esagera e tenta di votare due volte come la marchesa Nunziante, nipote di Benedetto Croce, che viene arrestata. Ai seggi si presenta l’89,1% degli elettori. Dopo vent’anni di digiuno c’è un certo appetito di democrazia: i fascisti la chiamavano «elezionismo» e se ne consideravano il vaccino. La regina Maria Josè, anticonformista fino in fondo, infila nell’urna una scheda bianca. Il presidente del consiglio De Gasperi rispetta la fila, ma lo riconoscono e lo lasciano passare: «Tanto faccio presto, so già per chi votare.» Forse sa già anche chi vincerà. Il socialista Romita e il comunista Togliatti, arbitri di parte dislocati ai ministeri degli Interni e della Giustizia, vigileranno affinché la Repubblica trionfi. Ma la dinastia ha giocato sporco per prima, quando Vittorio Emanuele ha abdicato a un mese dal referendum, così da consentire al figlio Umberto di arrivarci con la corona in testa.
A metà dello spoglio la Monarchia è in vantaggio. Una nota riservata dei carabinieri le assegna il 58%. Poi nella notte la situazione si rovescia. Brogli? Chiamiamolo vento del nord: arrivano in massa le schede delle regioni settentrionali che hanno nutrito la Resistenza e sperimentato sulla propria pelle il comportamento ambiguo dell’ex Re. Persino il Piemonte si esprime in prevalenza contro i Savoia. La Cassazione certifica il verdetto, 54% a 46% per la Repubblica, ma rinvia al 18 giugno la proclamazione. C’è infatti un problema da risolvere. La legge prevede che il referendum sia valido se una delle due opzioni ottiene la maggioranza dei votanti. Mentre il 54% raccolto dalla Repubblica si riferisce solo ai voti validi, escluse cioè le schede bianche e nulle. Re Umberto punta i piedi e i suoi seguaci manifestano a Napoli e Bari, lasciando morti sul selciato. L’incertezza eccita gli animi e per scongiurare altre follie il consiglio dei ministri pone il sovrano davanti al fatto compiuto: nella notte fra l’11 e 12 giugno dichiara che la semplice promulgazione dei risultati basta a detronizzare il Re e nomina De Gasperi capo provvisorio dello Stato (la carica passerà poi a De Nicola). Il giorno dopo Umberto II esce dal Quirinale sbattendo la porta. Prima di imbarcarsi per l’esilio di Oporto lancia un proclama in cui accusa il governo di golpe: «Sono stato messo nell’alternativa fra provocare spargimento di sangue o subire violenza.»Preferisce subire, specie dopo che il generale Lush gli ha spiegato che gli anglo-americani non muoveranno un dito per salvargli il trono. Arriva il 18 giugno, giorno della proclamazione ufficiale. La Cassazione si spacca - 12 giudici contro 7 - ma decide a maggioranza che per «votanti» vanno intesi soltanto i voti validi. È nata la Repubblica Italiana e il ministro Palmiro Togliatti può confidare al suo segretario: «I parti difficili vanno aiutati.»