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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

26 settembre 1945

L’urlo della Magnani
A pochi mesi dalla fine della guerra, gli italiani che vanno al cinema sono piuttosto scontenti. Con l’arrivo degli americani si aspettavano nuove meraviglie di Hollywood e invece si devono sorbire film di propaganda patriottica Usa, mentre le commedie leggere dei bei tempi sembrano scomparse. Si rispolverano Fred Astair e Ginger Rogers, Clark Gable e la biondissima Jean Harlow, ma alla fine è più attraente una coppia amatissima del varietà italiano, il grosso Aldo Fabrizi e la pirotecnica Anna Magnani, da anni operanti sulle passerelle della rivista tradizionale. Sono interpreti di un nuovo film, «Roma città aperta», del giovane regista Roberto Rossellini e promettono sano divertimento popolare. Ma quando le luci si spengono i due comici romani non sono più gli stessi. Lui è un prete impegnato a proteggere quanti combattono l’occupazione tedesca e finisce fucilato, lei è una popolana coinvolta nella lotta clandestina, che verrà abbattuta dai nazisti sotto gli occhi del figlioletto mentre insegue urlando una camionetta che le porta via il suo uomo.
«Francescoooo!». Quell’urlo segna l’inizio del cosiddetto neorealismo, termine come sempre difficile da definire ma che porta il cinema italiano al più alto livello mai raggiunto. La Magnani, da stellina del varietà, diventa di colpo la più grande attrice tragica del Paese ed è richiesta da tutti i produttori del mondo. Tre anni dopo, con «Ladri di biciclette», De Sica meriterà l’Oscar, Rossellini proseguirà con «Paisà» e «Germania anno zero». È una scuola ma senza un Manifesto, senza un teorico. C’è piuttosto quella presa sulla realtà, sfuggita o proibita per vent’anni, che accomuna De Santis, Lattuada, Germi, Visconti, Lizzani, registi di valore diverso, ma tutti in certo modo costretti a una visione infallibile di ciò che li circonda. Macerie ancora vere, cappotti rivoltati, fame, freddo, paura, disperati espedienti per sopravvivere. Molti degli interpreti non sono attori ma vengono presi dalla strada e tuttavia da quel crudo, cupo, bianco e nero non traspare il minimo ammicco di cinema-verità, di docu-fiction, di reality. Non c’è, per un magico momento, nessuna distanza tra lo schermo e lo spettatore. Così il neorealismo viene accolto e ammirato nel mondo. Un po’ meno in Italia, dove di lì a poco il cosiddetto boom economico metterà fine a tanta fulminea creatività, facendola scivolare nel genere «leggero» e talvolta geniale della commedia all’italiana.