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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

Haiti, i Giochi felici dei sopravvissuti - Una squadra di quindicenni adulti, disincantati, occupa il campo dello stadio Jalan Besar di Singapore

Haiti, i Giochi felici dei sopravvissuti - Una squadra di quindicenni adulti, disincantati, occupa il campo dello stadio Jalan Besar di Singapore. La nazionale di calcio di Haiti ha appena battuto i padroni di casa, due gol segnati, nessuno preso e davanti una finale che vale l’oro ai primi Giochi giovanili. E loro non festeggiano, pregano. Lo fanno prima e dopo le partite e a ogni turno perdono un po’ della serietà che si sono portati dietro: una zavorra eredità del terremoto di sette mesi fa, la rovina della loro isola. Dovrebbero essere ragazzi, invece sono sopravvissuti e si comportano come chi ha già visto troppo. Gli è riuscito un piccolo miracolo e ancora non se ne sono accorti, ma grazie a loro Haiti si allontana un po’ dalla disgrazia e intravede il futuro. Sangue giovane e temprato, la squadra non aveva nessuna possibilità di giocarsi la medaglia e invece hanno vinto due gare decisive. E anche altro. Hanno battuto la paura, hanno ritrovato il sorriso e il coraggio di esibirlo senza sentirsi colpevoli. Altri novanta minuti e potrebbero persino riappropriarsi dell’età perduta, ritornare adolescenti. Haiti si è iscritta ai Giochi di Singapore a metà giugno, quando Cuba ha lasciato un posto libero e hanno messo in piedi la formazione in sei settimane. Un gruppo si allenava già insieme, altri sono stati reclutati, il terremoto non ha solo spazzato via vite e case, ha distrutto certezze. L’allenatore Sonche Pierre si è trovato a gestire una generazione destabilizzata e molte rinunce: «Ad Haiti nella vita di tutti c’è un prima e un dopo, tanti ragazzi che giocavano hanno smesso e invece bambini che non avevo mai visto hanno improvvisamente avuto bisogno di darsi da fare. C’è chi vive nelle tende o per strada. Il campo è la loro casa». Il campo è stato anche il primo rifugio, mezza squadra era là quando sono iniziate le scosse e il capitano, Daniel Gedeon (che ha segnato il rigore del 2-0 contro Singapore) lo ricorda quasi come un colpo di fortuna: «Si è messo tutto a tremare e noi siamo rimasti lì. Eravamo lontano dai muri. Ci siamo sdraiati a pancia in giù e anche quando ci siamo accorti che il frastuono era passato nessuno si è mosso. Solo dopo ore ci siamo messi in ginocchio e abbiamo iniziato a pregare». La tradizione è nata lì, ora replicano lo stesso cerchio, invocano protezione, ringraziano e non è solo la fede a spingerli avanti. C’è una dose di pragmatismo che gli altri ragazzi non possono avere. All’esordio nel girone hanno perso 9-0 contro la Bolivia, il risultato avrebbe stroncato altri coetanei. Avrebbe travolto anche dei professionisti. Loro si sono ritrovati qualche ora dopo la disfatta, nell’università che li ospita, e non hanno nemmeno parlato dell’umiliazione, hanno archiviato la giornata storta in un minuto: «Abbiamo superato ben altro». Una frase semplice, troppo matura e troppo vera, la convinzione che si potesse fare meglio e un bel sonno, («qui sì che si dorme bene, a casa è difficile»). Non hanno più perso. Poche sfide, alle Olimpiadi dei ragazzi ci sono solo sei squadre di calcio, due gironi con due partite per ogni lato del tabellone, semifinale e finale, di nuovo contro la Bolivia «e stavolta dimostreremo che abbiamo imparato la lezione». Il ct non ha fatto discorsi ha applaudito i suoi nello spogliatoio e promesso «siamo solo all’inizio». Il capo delegazione, Fritz Gerd Wong, è l’unico davvero emozionato, quasi in lacrime ha detto: «Per noi questo risultato è incredibile. Comunque vada sarà stato un trionfo perché questi giocatori si sono preparati in condizioni assurde». Lui ha chiesto uno scatto in avanti: «Non parlate del terremoto, non rilasciate interviste raccontando la vostra esperienza. Dimenticate quei terribili giorni, pensate a giocare». Un invito a tutto il gruppo, 22 atleti in totale, 18 del calcio, una ragazza che gareggia nei 1000 metri, un judoka e il portabandiera, Seturne Peterson impegnato nel teakwondo. Proprio lui ha spiazzato gli organizzatori quando durante la cerimonia di apertura gli hanno chiesto: «Che pensi di Singapore?» e Seturne invece di balbettare o di entusiasmarsi ha risposto: «Penso che se fossi nato qui avrei avuto una vita più facile e sarei un campione più forte». Gli hanno tolto il microfono. Le Olimpiadi giovanili sono nate per «abituare i ragazzi alla competizione e al rispetto dei valori sportivi», così sta scritto nel proclami dei dirigenti Cio, i capoccia dei cinque cerchi. Per Haiti la competizione è una formalità e non hanno bisogno di reggere la tensione, di abituarsi al clima olimpico. Cercano il confronto, sono curiosi, ma soprattutto attenti. Quasi in guardia. Quando i responsabili del sito ufficiale sono andati a raccogliere le loro storie, il capitano, Gedeon, ha rincorso il volontario per controllare che il suo nome fosse scritto bene. Il portiere, Jeff Petit Frere, ha fulminato l’addetto alle squadra che offriva sostegno dopo i nove gol incassati. Non aveva bisogno di aiuto. Non per quello almeno. Beatrice Derose, oggi in pista per la finale B dei 1000 metri, vive in un container, studia in un container e non ha più un posto dove allenarsi. Corre per strada, è rimasta senza guida tecnica, ha perso tre cugini e costruito un approccio ottimista alla vita: «Il mio sogno pre terremoto era andare ai Giochi di Londra, il mio sogno oggi è andare a Londra 2012. Non ho perso tutto». I calciatori non sapevano nemmeno di averlo un sogno, hanno rincorso le date per esserci, improvvisato sulla tattica e scoperto di essere più solidi del previsto. Contro Singapore mai un attimo di difficoltà anche se la nazionale di casa aveva il pubblico a favore, gli striscioni, le feste organizzate e le foto delle partite giocate fin lì già esposte nei corridoi. Il primo gol lo ha buttato dentro Jean Bonhomme, classe 1995, l’attaccante che incurante del clima ha guidato la truppa sotto gli spalti. Ovviamente hanno raccolto applausi, sbalordito il pubblico e conquistato i Giochi giovanili anche prima dell’oro. Anche senza l’oro. Un dettaglio per tutti tranne che per loro, i protagonisti che non ricordano come e perché sono finiti dentro questo torneo, però adesso vogliono arrivare in fondo. Tornare con un successo sarebbe come tornare indietro. A quando i 15 anni pesavano molto meno. Adesso possono seguire il consiglio del capo delegazione ed evitare di ricordare costantemente il terremoto. Da ieri c’è altro da raccontare.