Andrea Brenta, Italiaoggi 21/8/2010, 21 agosto 2010
SALARI, LA CINA SI PIEGA AGLI AUMENTI
Non si ferma l’onda scatenata dalla rivolta degli operai cinesi. E così, una dopo l’altra, le province del Celeste impero rivedono al rialzo di almeno il 20% i salari minimi.
Ultima in ordine di tempo la provincia di Quinghai, nel Nordovest del paese, che mercoledì ha annunciato che aumenterà del 28,8% gli stipendi medi mensili portandoli a 770 yuan (67 euro). È la 27sima autorità regionale ad adeguarsi, dopo gli scioperi della scorsa primavera nelle fabbriche di grandi gruppi come Honda e Foxconn.
E l’onda dovrà presto investire le ultime quattro province povere dell’Ovest, secondo quanto ha annunciato il quotidiano China Daily.
Nella provincia meridionale di Guangdong, la remunerazione minima mensile è passata da 660 a 1.030 yuan (119 euro). A Pechino da luglio è salita del 20% a 960 yuan (111 euro). Ma è a Shanghai che il salario minimo è più alto, con 1.120 yuan (129 euro).
Una inversione di rotta notevole dal blocco dei salari imposto dalle autorità centrali nel novembre 2008 per far fronte alla recessione mondiale. La rapida ripresa economica, con un tasso di crescita di oltre il 10%, unita alla pressione sociale all’interno delle fabbriche, ha convinto le autorità a mollare la presa. Rassicurati dalla capacità di rimbalzo dell’economia, che è diventata il motore della crescita mondiale, i dirigenti cinesi ritengono che la priorità sia ormai quella di evitare una deriva sociale, ridistribuendo il potere d’acquisto. Perché proprio nel momento in cui il pil della Cina sta per superare quello del Giappone, una larga parte della popolazione si sente esclusa dal gioco e comincia a fare la voce grossa.
«È in atto una forte pressione sociale sul governo poiché la gente si rende conto che il divario fra ricchi e poveri aumenta», spiega a Le Figaro Dong Runqing, avvocato di Shanghai specializzato in diritto del lavoro.
La speculazione immobiliare non fa che accrescere questo scarto e gli sforzi del governo per frenare la volata dei prezzi sono stati vani.
«L’adeguamento del salario minimo è una misura che si sarebbe dovuta prendere molto prima», stima Yang Yansui dell’università Tsinghua, «dal momento che l’economia cinese è uscita rapidamente dalla crisi».