Massimo Fini, il Fatto Quotidiano 22/8/2010;, 22 agosto 2010
“CARI BERLUSCONI E PREVITI, SIETE QUERELANTI O DELINQUENTI”
L’Italia è proprio un curioso Paese. Privo, oltre a tutto il resto, di memoria, soprattutto nella sua classe dirigente, politica, intellettuale e giornalistica, come dimostra anche il turibolante e totalitario elogio funebre tributato a Francesco Cossiga pur risalendo le sue malefatte a epoca relativamente recente e quasi tutti vivi i testimoni del tempo. Adesso che è in ballo il tinello del presidente della Camera tutti, non solo i “finiani”, ma anche i giornali di sinistra, compreso il nostro, “scoprono” il colossale raggiro che Silvio Berlusconi, in combutta con Previti, operò, nei primi anni ’70, ai danni della marchesina Annamaria Casati Stampa scippandole, per un tozzo di pane, la villa di Arcore (3500 metri quadrati), i Tintoretto, i Tiepolo, i Luini che la arredavano, un parco di un milione di metri quadrati e un immenso terreno di 2.466.000 (duemilioniquattrocentosessantaseimila) metri quadrati nel comune di Cusago. Di tutte le nefandezze attribuite a Berlusconi questa è, dal punto di vista morale, la più ripugnante e grave. Qui infatti non ci troviamo di fronte a un imprenditore che pur di mandare avanti la sua azienda si muove ai limiti della legalità e ogni tanto li oltrepassa, unge le ruote, paga qualche mazzetta ai finanzieri, gonfia le fatture per sfuggire al Fisco e precostituirsi fondi neri e magari, in seguito, corrompe un testimone per salvarsi dalle inchieste della magistratura, tutte cose che (corruzione di testimoni a parte, almeno spero) fanno parte di un collaudato malcostume imprenditoriale ma che sono così generalizzate ed entrate nella consuetudine della società italiana da non essere più percepite nella loro reale gravità. Qui ci sono due figuri che approfittano di una ragazza , all’inizio della vicenda minorenne, diventata improvvisamente orfana di padre e di madre nel più traumatico dei modi. Al marchese Casati Stampa piaceva infatti guardare la bella moglie mentre se la faceva con dei giovani amanti. Ma un giorno, nel 1970, il gioco pericoloso gli sfuggì di mano. La donna si innamorò di uno di questi amanti occasionali e il marchese, pazzo di gelosia, uccise la moglie, il giovane e poi si suicidò. Per sfuggire all’enorme scandalo e ritrovare un po’ di serenità Annamaria riparò in Brasile. E così Previti, che della giovane era stato protutore, e Berlusconi ebbero mano libera.
L’inchiesta
di “Gente”
MA LA COSA curiosa, diciamo così, è che la vicenda della villa di Arcore e annessi era nota e pubblica già nel novembre 1994. L’aveva raccontata e documentata, in modo accuratissimo, un coraggioso giornalista di Gente (per la verità sarebbe spettato a cronisti di altro tipo di giornale fare inchiestediquestogenere),GiovanniRuggeri,chele“vispeTerese”di oggi non hanno nemmeno la buona creanza di ricordare, in un capitolo del suo libro (“Gli affari del Presidente”) intitolato “Il grande imbroglio”. Solo l’Espresso riprese la vicenda. Berlusconi, allora presidente del Consiglio, non mosse orecchia.Enonlamuoveràmai(lo aveva fatto preventivamente quando La Notte, intervistando Ruggeri, aveva dato alcune anticipazioni, con una telefonata minacciosa al direttore, Piero Giorgianni, urlandogli: «Io la riduco in povertà». E Giorgianni aveva risposto: «Non può, presidente. Sono già povero»). Previti, ministro della Difesa, aveva annunciato una querela. Poi tutto era caduto nel dimenticatoio. Fui io, sei mesi dopo, a riportare a galla la vicenda della villa di Arcore quando mi capitò fra le mani per caso, il libro di Ruggeri (in genere non sono appassionato di questo tipo di pubblicistica) e lessi quella sconvolgente storia. Scrissi un fondo, sull’Indipendente, intitolato «Cari BerlusconiePreviti,sietequerelantio delinquenti?» (L’Indipendente, 5/6/1994. L’articolo, se interessa, è disponibile nel mio ultimo libro "Senz’anima", del maggio di quest’anno). Vi raccontavo per filo e per segno la storia, riprendendola daRuggeri,echiedevoaBerlusconi e Previti se avessero querelato il collega che li aveva così infamati (in realtà sapevo benissimo che nonl’avevanofatto)perché“lacittadinanza non può essere lasciata nel dubbio che un ex presidente delConsiglio,candidatoaridiventarlo , e un ex ministro della Difesa sianodeitruffatori,deidelinquenti, dei criminali di diritto comune. Aspettiamo fiduciosi una risposta”. Berlusconi, al solito, rimase silente. Previti pure. Scrissi un secondo fondo ripetendo la domanda. Previti rispose con un fax contorto e ingarbugliato, dove, giocando sui gerundi, non faceva capire se avesse o no proposto querela. Infine a un mio terzo fondo, tirato per i capelli e solo in quel momento (erano passati sei mesi dalla pubblicazione del libro) si decise ad agire contro Ruggeri, contro L’Espresso e contro di me. Ma non con una querela penale con cui da che mondo è mondo (pardon: fino ad allora) si tutela la propria reputazione e che vuole l’accertamento della verità dei fatti, ma con un’azione civile di danno per diffamazione dove il focus èsoprattuttosuldannoeancheun ladro chiamato ladro può essere danneggiato se ciò è avvenuto “in termini non continenti”.
Così vuole la nostra legge. Il Tribunale civile di Roma, con sentenza del 3/12/1999, assolse Ruggeri e L’Espresso avendo ritenuto il giudice, Franca Mangano, “non contestabile la sostanziale veridicità, quantomeno putativa” dei fatti raccontati dal Ruggeri. Condannò invece me argomentando che poiché la querela è un diritto, e non un dovere, del cittadino, non potevo trarre dalla sua mancata proposizione da parte di Previti(eimplicitamentediBerlusconi) le conclusioni che ne avevo tratto.
La battaglia
giudiziaria
IO AVEVO le mani legate perché ero stato condannato, sia pur con una motivazione abbastanza bizzarra (non potevo trarre conclusioni che lo stesso Tribunale riteneva veritiere). Mi stupì però che L’Espresso, che aveva vinto la causa e di quella importanza, non la cavalcasse e rimanesse in silenzio. In quanto a Ruggeri era stato intimidito a tal punto che scrisse un comunicato in cui diffidava chiunque dal fare riferimento al suo libro. Il che è, a dir poco, singolare. Del resto lo stesso Ruggeri mi aveva raccontato che quando aveva parlato con la Casati Stampa – che nel frattempo aveva sposato un Donà delle Rose e si era rifatta una vita in Brasile – le era parsa molto timorosa. Aveva paura dei due. Soprattutto di Previti. E la sua testimonianza per rogatoria, resa in Appello, è piena di “non ricordo” assai strani e al limite della reticenza. Io ho fatto appello. Ed è cominciata una lunghissima causa, durata dieci anni, che mi è costata tempo, fatica, denaro, stress, senza che nessun giornale o politico d’opposizione mi venisse di rincalzo, lasciandomi solo in questa battaglia. Finché la Corte d’Appello di Roma, con sentenza dell’8 ottobre 2008, mi ha assolto avendo ritenuto legittime le domande che avevo posto a Previti e Berlusconi perché di interesse pubblico.
Adesso arrivano gli “antemarcia” del dopo, categoria storica in Italia, e “scoprono” la storia della villa di Arcore. Ho detto, all’inizio, che questo è un Paese che, nella sua classe dirigente, è senza memoria. Non è esatto. Politici e giornalisti dimenticano o ricordano a seconda di comodo, convenienza, momento. Che non è un bel modo di fare politica. E tanto-meno del buon giornalismo.