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 2010  agosto 22 Domenica calendario

AUTO ALLA SFIDA DELLA REDDITIVITÀ

Lo sbarco di General Motors in borsa, quest’autunno, sarà il più grande da quando 54 anni fa - la Ford fece il suo debutto al listino con un’offerta che allora battè tutti i record. Venerdì Bill Ford, erede del fondatore e presidente dell’azienda ancora controllata dalla famiglia, ha ammesso che «qualche investitore potrebbe vendere azioni Ford per comprare quelle di Gm», ma ha preso la cosa con filosofia: «Il successo della nostra società e della rivale in ultima analisi dipenderà da come andremo sul mercato dell’auto». L’affermazione è banale ma fondamentale. Da questo punto di vista l’imminente ritorno di Gm a Wall Street - e quello di Chrysler, che dovrebbe seguire nel 2011 - rappresentano un test decisivo per il risanamento dell’auto made in Usa e più in generale per il settore delle quattro ruote a livello mondiale, alle prese con un momento di forte incertezza congiunturale.
I risultati dei primi sei mesi del 2010 - riportati nella tabella - mostrano un rimbalzo a volte clamoroso della redditività rispetto allo stesso periodo del 2009. I casi di Mercedes e Bmw sono in qualche misura più comprensibili, visto che nel 2009 il mercato delle auto di lusso di era quasi azzerato. Ma le due francesi? E Ford che vince a sorpresa l’Oscar dei profitti tra i costruttori americani ed europei, davanti a General Motors? Detroit non era forse in ginocchio poco più di un anno fa?
Il merito del forte e generalizzato recupero di redditività è da attribuire in gran parte alla crescita dei volumi di vendita, oltre che - in misura minore - ai programmi di riduzione dei costi che tutti i costruttori continuano a mettere in atto. «Il nostro business dipende in misura decisiva dai volumi di vendita» è il primo fattore di rischio elencato da Gm nel suo prospetto per l’Ipo. Quanto può pesare l’aumento delle vendite? Un esempio: il gruppo Volkswagen è passato da un utile operativo di 920 milioni nel primo semestre 2009 a 2,5 miliardi; gli analisti della Barclays stimano in 1,9 miliardi l’effetto volume - ovvero più del miglioramento effettivo dei conti; lo stesso vale per i due gruppi francesi Psa e Renault. Il calo del fatturato di Opel deriva dallo scivolone in Germania (-85mila auto in sei mesi) dopo la fine degli incentivi, mentre c’èstato un aumento nel resto dei mercati europei; una dinamica non dissimile da quella di Fiat Auto, che ha pagato la fine degli incentivi anche in Italia e ha venduto meno auto nel secondo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2009.
Interessante è un confronto dei margini dei costruttori europei cosiddetti generalisti. Volkswagen guida con un 4,5%, mentre Gm Europe perde oltre il 5% del fatturato (pur segnando un netto miglioramento dal primo al secondo trimestre); tutti i quattro gli altri - Fiat, le due francesi e Ford Europe - hanno margini compresi fra i 2 e il 3%; a quelli del Lingotto, come del resto a quelli di Vw, danno un contributo significativo le attività in Brasile. Volkswagen, insieme proprio a General Motors, è uno dei due gruppi che dispongono di una posizione dominante in entrambi i due maggiori mercati emergenti, Cina e Brasile.
Se la redditività del settore dipende in misura così importante dai volumi di vendita, cosa dobbiamo aspettarci per la seconda metà dell’anno e per il 2011 - e che impatto potrà avere la congiuntura sulle Ipo di Gm e poi di Chrysler? Le prospettive per il mercato europeo sono negative, con cali che potrebbero arrivare al 20% (anche se le previsioni si sono fatte meno nere di qualche mese fa). Sugli Usa regna l’incertezza, ma anche qui J.D.Power ha di recente ridotto le previsioni di vendita per il 2011 da 13,7 a 13,2 milioni di unità (erano 17 negli anni d’oro, ma solo 10,6 nel 2009); quanto alla Cina, il tasso di crescita a giugno (+11%) è stato il più basso da oltre un anno.
L’aspetto positivo per Gm (ma anche Chrysler) è che i gruppi americani sono usciti dal Chapter 11 con una struttura di costi drasticamente ridotta e tale da garantire il pareggio - spiega per esempio la stessa Gm nel suo prospetto con un mercato americano tra i 10,5 e gli 11 milioni di vendite annue. I tempi dei 19 miliardi di dollari di perdite da questo punto di vista sembrano lontani; per convincere gli investitori, il nuovo numero uno Akerson e la sua squadra dovranno dimostrare che la ripresa è sostenibile.