Alberto Orioli, Il Sole 24 Ore 22/8/2010, 22 agosto 2010
PER OGNI BUONA IDEA UN NO A PRIORI DELLA FIOM
Con animo e curiosità di cronisti siamo andati a vedere le roccaforti della Fiom, le ridotte dove si distilla pensiero massimalista, dove si perpetuano comportamenti conflittuali, dove c’è ancora la mistica del "dagli al padrone". Nino Ciravegna ha girato nelle macchie del leopardo Italia dove i metalmeccanici Cgil sono più o meno maggioranza. Ne è emerso un quadro di un lucido, disperante disegno di secessionismo contrattuale che fa il paio con certe chimere delle politica. L’idea di spaccare continuamente il fronte unitario della rappresentanza sindacale sui contratti già firmati è ambizione antica e sempre fallimentare nella storia ( seppur recente) delle relazioni industriali. Non a caso induce a pensare che sia un progetto parapolitico di chi marcia con la testa girata indietro, nostalgia e vecchie parole d’ordine.
Certo, la crisi può aiutare: esaspera i conflitti sociali, se non sufficientemente ammortizzata, genera scollamento tra porzioni della cittadinanza ( chi sopravvive alla recessione e chi no), dà linfa propagandistica a chi persegue la violenza come atto politico. Ma proprio per questo è importante che il sindacato non rinunci alla sua missione fondamentale: fare accordi, mediare istanze sociali e farle diventare regole e comportamenti condivisi. Insomma, è proprio in questa situazione che il sindacato deve fare il sindacato. E chi, invece, pensa di rappresentare i lavoratori solo con la liturgia del no li lascia in un canto, socialmente irrilevanti, praticamente al loro destino, destino scandito dalla crudeltà della crisi e dalla dialettica sommersi-salvati propria dei momenti di bassa congiuntura, tanto più in tempi eccezionali come questi di oggi. La strategia vincente resta il riformismo: il cambiare le cose con le virate dolci che non fanno straorzare la barca, che tengono in assetto gli equipaggi, che non fanno cadere in mare nessuno. Sono le più difficili, perché richiedono sincronismi sociali – che solo gli accordi possono produrre – volontà politica forte nel perseguire gli obiettivi di riforme, leadership credibili per indurre tutti a comportamenti virtuosi. Non è un caso che, di fronte ai tanti tavoli di crisi (per i quali sono in gioco oltre 400mila posti di lavoro) l’atteggiamento del sindacato sia ben più unitario che non rispetto a quello che distingue Cgil, Cisl e Uil sul tema dei contratti e degli accordi sulle flessibilità. Quando è in gioco la sopravvivenza anche l’ideologia cede il passo alla realtà.
Basterebbe applicare questo schema anche sugli altri tavoli: anche la flessibilità o la derogabilità dei contratti diventa tema da sopravvivenza, come dimostra il caso Fiat di Pomigliano. La linea Marchionne è stata chiara e inequivoca nella sua semplicità: il mondo – quello comparabile a noi come qualità delle produzioni, livello di diritti e di civiltà – fabbrica auto a condizioni molto precise. Che da noi ancora non ci sono, o non ci sono dappertutto.
Come Marchionne molti altri imprenditori fanno discorsi semplici e diretti ai loro interlocutori sindacali su quali siano le esigenze della competizione globale per giunta in temi di vacche magrissime.
Conviene comprendere prima possibile questo passaggio stretto della modernità. Altrimenti quei "no" diventano argomenti buoni per infiammare le platee (di disoccupati, a quel punto) ai convegni di questa o quella scheggia delle sinistra più o meno estrema. Ma non servono ad altro. Ci si infiamma, ci si indigna, ci si carica in conventicole da inner circle; superminoranze, gocce, goccioline di rancore nel mare grande della globalizzazione.
Invece il paese cerca di canalizzare ogni energia verso il salto di crescita, unica vera terapia per salvare economia e società. Che passa anche da un atteggiamento responsabile e lungimirante dei sindacati: la Cisl e la Uil lo hanno capito, la Cgil – o meglio parte della Cgil – non ancora. L’autunno si prospetta cruciale per il rilancio del tessuto industriale italiano e sarebbe assai autolesionista se, per una sorta di narcisismo protestatario, una parte del sindacato rinunciasse a giocare la partita.