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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

IL PESO LEGGERO DELLE MATERIE PRIME - L

e azioni si pesano, non si contano: il famoso detto di Enrico Cuccia era inteso a far pesare, nei delicati equilibri del salotto buono della finanza italiana, le poche azioni dei soliti noti rispetto alle tante azioni del "parco buoi". Ma, parafrasando, lo stesso concetto si può applicare ai prezzi delle materie prime: che pesano molto nella psicologia del consumatore anche se contano poco nella più vasta tela dell’economia.
Pasta e benzina fanno parte degli acquisti quotidiani, e quando grano e petrolio rincarano i lontani listini delle materie prime entrano di prepotenza nei bilanci delle famiglie. Ma l’alta visibilità di questi prezzi non comporta necessariamente una grossa influenza sull’inflazione complessiva. Le economie dei paesi industrializzati, è vero, sono economie di trasformazione, che trasformano, appunto, materie prime in prodot-ti finiti, e si potrebbe quindi pensare che i costi degli input siano una grossa determinante dei prezzi dell’output. Ma la grande maggioranza dell’attività economica - dai due terzi ai tre quarti del Pil - è ormai attività di servizi. E anche nella manifattura tradizionale il consumo di materie prime è diventato meno importante, grazie a materiali sintetici (più leggeri di quelli tradizionali) e alla miniaturizzazione di molti componenti. Quel che è vero per i paesi di antica industralizzazione non è però vero per i paesi emergenti. Questi ripetono - con la fame di infrastrutture e di case - il percorso passato dei paesi emersi, e la loro "intensità" di materie prime (materie prime per unità di Pil) è molto maggiore di quella (in discesa) dei paesi avanzati. Il grafico mostra l’andamento, dal 1973 a oggi, dei prezzi reali (cioè depurati dell’andamento generale dell’inflazione) delle materie prime. Come si vede, i fattori sopra citati avevano avuto un’influenza avversa sui prezzi: la minore domanda e le pronte risposte dell’offerta a ogni segnale di rialzi avevano spinto verso il basso le quotazioni, che all’inizio degli anni duemila si ritrovano a livelli di meno della metà rispetto a quelli prevalenti all’inizio degli anni settanta. Da allora, e principalmente grazie all’impetuosa fase di sviluppo dei paesi emergenti, è cessato il calo dei prezzi reali. Anzi, si assiste a un recupero che permane tuttavia modesto: gli ultimi dati, fatto 100 il 1980, indicano un livello di 60-65. Il recupero, come si vede, è stato interrotto dalla grande recessione, ma le quotazioni si sono riprese con l’uscita dalla crisi, e i livelli attuali sono tornati sulla linea di tendenza, leggermente ascendente, che prevale dall’inizio del millennio.
Le materie prime costituiscono un indicatore molto sensibile del ciclo e ogni interpretazione del loro andamento ha due volti: un ammonimento e una consolazione. Quando i prezzi calano i produttori sono contenti del minor costo, ma scontenti del portafoglio ordini che si assottiglia, dato che il calo è dovuto alla minor domanda e quindi a minacce di recessione. Quando le quotazioni delle materie prime aumentano i produttori non sono contenti dei maggiori costi (e lo stesso dicasi per i consumatori di pane e benzina), ma dovrebbero essere contenti della domanda che ha ripreso a tirare.
E l’inflazione?Ormai l’inflazione non dipende più dagli andamenti delle materie prime: sono troppi i settori dell’economia in cui i materiali di base non influiscono sui costi, e anche dove c’è un’influenza, questa è modesta, dato che i determinanti più grossi dell’inflazione stanno nel costo del lavoro e nel costo di input diversi dalle materie prime. Tuttavia, i timori e i tremori legati alla crisi recente hanno lasciato negli animi un’ansia che trova facile esca in bruschi movimenti dei prezzi, e il pendolo oscilla fra la paura della recessione e la paura dell’inflazione.Ma,mentre ancora siamo alle prese con gli strascichi della "grande crisi", possiamo però liberarci dalla paura dell’inflazione,e vedere negli aumenti delle materie prime solo leavvisaglie di un’economia che sta uscendo dalla crisi.