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 2010  agosto 23 Lunedì calendario

CANCELLATI I PRIMI 24 ENTI LO STATO RISPARMIA 4 MILIONI

In attesa. È l’atmosfera che si respira all’interno degli enti soppressi dall’ultima manovra, varata a maggio con il decreto legge 78. Perché se la consapevolezza di non esistere più si è fatta certezza con la legge di conversione di fine luglio, ora si aspettano le indicazioni su come traghettare i vecchi uffici nei nuovi, ovvero nei ministeri, gli enti di previdenza e le camere di commercio che ingloberanno gli ex enti. A dirlo dovranno essere vari decreti che vedranno la luce nei prossimi mesi.
Dunque, nei 24 istituti dismessi non si può che attendere e, nel frattempo, mandare avanti l’ordinaria amministrazione. Per alcuni la data di fine corsa è stata espressamente indicata dall’articolo 7 della manovra. In certi casi la si è fissata al 31 maggio (giorno di entrata in vigore del decreto legge; così è, per esempio, per l’Ipsema, l’istituto affari sociali, l’Ispesl e l’ente di previdenza di pittori e scultori),mentre l’Enam ha cessato di esistere il 31 luglio, giorno di entrata in vigore della legge di conversione. Sugli altri enti il legislatore è rimasto più nel vago: sono soppressi, ma senza una precisa scadenza. Anche di questi, però, si parla ormai al passato.
D’altra parte i nuovi organismi di riferimento, quelli destinati cioè a incorporare i vecchi uffici, hanno già fornito precise direttive, e questo a prescindere se la manovra abbia o meno indicato un termine per sbaraccare. Anche in questa fase di transizione, dunque, ogni atto deve essere concordato con le nuove strutture e i vertici di quelle vecchie –laddove non siano stati azzerati – devono astenersi dal firmare documenti o deliberare interventi. E se comunque lo fanno perché l’ordinaria amministrazione lo richiede, devono prima consultarsi con i nuovi capi.
Un taglio repentino e radicale, dunque. E questo è di per sé un successo, considerando come è andata a finire l’ultima operazione di potatura degli enti inutili iniziata con la Finanziaria per il 2008 e proseguita nell’attuale legislatura dal ministro della Semplificazione, Roberto Calderoli. Quel progetto non ha fatto vittime, se non qualche poltrona nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali. Tutti gli enti a rischio, infatti, si sono riorganizzati – per alcuni l’iter è ancora in corso – ma alla fine si sono salvati. E gli annunciati risparmi si sono ridotti a pochi spiccioli.
Sotto questo aspetto, tuttavia, il recente taglio non promette molto di più. Alla fine si arriva a risparmiare, complessivamente, 3,7 milioni l’anno. In alcuni casi, poi, gli effetti sulla finanza pubblica sono inesistenti. È il caso dell’Ense e dell’agenzia per la gestione dell’albo dei segretari comunali e provinciali. Astolfo Zoina, commissario straordinario dell’ente per le sementi elette dal 2007 (quando era scaduto il suo mandato di quattro anni come presidente), si dice ancora incredulo della soppressione. «Abbiamo poco più di 90 dipendenti e un bilancio di 12-13 milioni l’anno, ma non riceviamo – spiega – alcun contributo dallo Stato. Viviamo delle risorse del nostro lavoro, che è quello di verificare la qualità delle sementi prodotte in Italia. Una gestione oculata ci permette di avere un attivo di tre milioni. Eppure ci hanno soppresso. Un provvedimento assurdo, di cui non so darmi spiegazione. Il risparmio non c’entra nulla».
Anche all’Enam, ente con 93 dipendenti e un bilancio di 60 milioni, la musica è la stessa. La relazione tecnica allegata al decreto legge stima in poco più di 242mila euro il risparmio, che potrebbe aumentare in virtù della razionalizzazione delle funzioni amministrative con il trasferimento delle competenze all’Inpdap e in conseguenza del quale potrebbero diminuire anche le esigenze logistiche. Uno studio della Camera dei deputati di metà luglio – a ridosso, dunque, della conversione della manovra – evidenzia, però, la necessità di disporre di maggiori informazioni circa il risparmio attribuito alla soppressione dell’Enam, ente da tempo nell’elenco di quelli a rischio e che aveva, tuttavia, ottenuto una proroga per riorganizzarsi, in modo da assicurare un abbattimento dei costi di gestione.
«Intervento che è stato compiuto: il regolamento di riordino – afferma Antonino Di Maio, direttore generale –è ora all’esame del Consiglio di Stato. Niente, pertanto, lasciava prevedere che venissimo soppressi. Anche perché non riceviamo un euro dallo Stato, abbiamo un attivo di 25 milioni e un patrimonio immobiliare di 125 milioni di euro. Tra l’altro, non facciamo previdenza, ma solo assistenza. Non riesco a capire dove stiano i risparmi».
C’è, tuttavia, da considerare l’obiettivo più generale del Governo, che è quello del riassetto complessivo della previdenza pubblica, piano che dovrebbe portare, entro i prossimi anni, a un risparmio di 3,5 miliardi. Nel frattempo, ci si accontenta degli spiccioli. Eppure – fanno sapere dall’Ipsema – bastava aspettare per portare a casa molto di più dei 635mila euro promessi dalla soppressione dell’ente del mare. Il progetto di riassetto, oggetto di un disegno di legge all’esame della Camera, prevede infatti la fusione di Ipsema, Sans, Cirm e Usmaf, con un risparmio di 15 milioni.
Non è, tuttavia, solo una questione di soldi. All’Ipi le perplessità sono di altro tipo. Ora che per effetto della soppressione non c’è più un Cda, un presidente e un direttore generale e ci si prepara alla transizione, ci si chiede come avverrà. Perché –fanno notare –l’istituto è un’associazione privata, seppure controllata interamente dallo Stato. Non si potrà, pertanto, ricorrere a una semplice incorporazione nel ministero dello Sviluppo economico, ma – codice civile alla mano – dovrà prima essere attivata la procedura di liquidazione. Iter che si preannuncia complicato e che forse è sfuggito a chi ha usato le forbici del taglio. Anche perché – stando almeno alla relazione tecnica – il bilancio dell’Ipi è in sostanziale pareggio. Dunque, anche in questo caso risparmi immediati non ce ne sono.