Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore 21/8/2010;, 21 agosto 2010
IL CAPOLINEA DEL MERCANTE D’ARMI BOUT
Viktor Bout. Ovvero Viktor Budd, Viktor Bulakin, Vadim Markovich Aminov. O, più semplicemente, Boris. Dal suo passaporto russo risulta nato nel 1967 in Tajikistan. Ma a una radio moscovita ha detto di essere nato in Turkmenistan. Mentre l’intelligence sud-africana sospetta sia nato in Ucraina.
Comunque sia, è accusato di essere stato per quasi due decenni il mercante d’armi più pericoloso al mondo. Fornitore di Hezbollah, dei talebani e delle più violente bande armate africane, da quelle della Sierra Leone a quelle congolesi. Un maestro del business della morte. Ad attestarlo sono prove documentali, rapporti dell’Onu e di Amnesty International. E un rinvio a giudizio della procura federale di Manhattan.
Per sua moglie Alla, invece, Viktor è un imprenditore nel settore delle spedizioni aeree che non ha mai fatto alcunché di male. O di cattivo. Piuttosto ha trasportato gladioli africani nel Golfo Persico, truppe per il mantenimento della pace in Somalia e in Ruanda, tende ed equipaggiamento per l’US Army in Iraq e Afghanistan. A tempo perso, ha spiegato Alla a un giornalista australiano, il suo Viktor è anche un poeta. Ed è tutto vero. Anzi, documentato ( anche le sue poesie).
Ma allora mercante di morte o poeta? Ieri la Corte d’Appello di Bangkok ha deciso che sarà un tribunale di Manhattan a stabilirlo. Rovesciando il verdetto del tribunale di primo grado che aveva respinto la richiesta di estradizione avanzata dal Dipartimento della Giustizia di Washington dopo il suo arresto a Bankgok il 6 marzo 2008.
Salvo una qualche sorpresa, magari legata a un aiutino dai suoi potenti amici russi, quello che adesso aspetta Bout a New York è quasi scontato: una lunga condanna. Perché forse sarà un poeta, e nessuno mette in discussione che abbia trasportato truppe di pace e gladioli, ma che la sua fortuna sia dovuta al traffico di armi è un fatto che nessun esperto ha mai contestato. E soprattutto perché l’agenzia federale antidroga americana, Drug Enforcement Agency (o Dea) lo ha incastrato a puntino.
Nel 1989, dopo essere uscito dall’Istituto linguistico militare di Mosca e per via della sua conoscenza del portoghese, Viktor viene mandato in Mozambico come interprete per le truppe sovietiche.
È lì che conosce Alla. Ma soprattutto stabilisce i primi rapporti con africani interessati a forniture militari.
Il salto di qualità avviene dopo il collasso dell’Unione Sovietica e delle sue forze armate. Improvvisamente, l’ex Urss si trova con flotte di aerei da trasporto Antonov e depositi di armi di cui nessuno sa che fare. E soprattutto che nessuno controlla più. Bout coglie la palla al balzo: in Africa ha una rete di persone pronte a sopperire alla crescente domanda di armi che lui può comprare e trasportare a bordo degli Antonov. La chiave del suo successo? Mascherare le missioni clandestine dietro a un business legittimo. Possibilmente per conto di quegli stessi organismi internazionali o governi più impegnati nella lotta al traffico di armi.
Altro criterio-guida? Non fare discriminazioni. Il leggendario guerriero afghano Ahmed Shah Massoud voleva le sue armi? No problem. Le volevano anche i talebani, acerrimi nemici di Massoud? No problem.
«La differenza tra Bout e tutti i suoi concorrenti nel settore era la sua capacità di offrire un global service. Aveva in mano l’intera catena: dal produttore al consumatore, trasporto e finanziamento inclusi» spiega Johan Peleman, un ricercatore belga che ha indagato sul russo per conto dell’Onu.
L’apice della temerarietà lo ha raggiunto nella primavera del 2005. Dopo che il Dipartimento del Tesoro aveva messo in lista nera il suo nome e quello di 30 compagnie di trasporto aereo a lui legate, ha vinto una gara per rifornire la Halliburton in Iraq. Con la trentunesima società. A porre fine alla sua carriera è stata la Dea con un’operazione condotta sotto copertura da tre suoi informatori spacciatisi per comandanti delle Farc, l’organizzazione terroristica colombiana. A provare il suo coinvolgimento sono ora una serie di messaggi di posta elettronica fatti risalrire al suo computer e telefonate fatte su cellulari forniti dalla stessa Dea.
In una telefonata il mercantepoeta russo viene invitato a offrire ai colombiani un servizio aggiuntivo: il riclaggio dei proventi del traffico di coca gestito dalle Farc. Per la modica commissione del 40%. Per discutere anche di questo, i tre informatori della Dea lo hanno convinto a incontrarli in Tailandia. Dove è stato immediatamente arrestato. A sua moglie Alla aveva detto che lo scopo del viaggio era un corso di cucina tailandese. Lei ci aveva creduto. Anzi, ci crede ancora.