Paul Krugman, Il Sole 24 Ore 21/8/2010;, 21 agosto 2010
SE L’EXPORT CINESE TRUCCA LA MONETA
In giugno, gli Stati Uniti hanno registrato un deficit della bilancia commerciale con la Cina di 26,2 miliardi di dollari. Un mese dopo la Cina, che rifiuta tuttora di rivalutare lo yuan rispetto al dollaro, ha annunciato un surplus di 28,7 miliardi di dollari. Il divario crescente tra i due paesi è in effetti preoccupante, e negli Stati Uniti sono in molti a ritenere che dovremmo ammonire i cinesi che non devono manipolare il mercato internazionale delle esportazioni, senza arrivare tuttavia a minacciare sanzioni per non innescare una guerra commerciale.
La verità è che gli ammonimenti alla Cina non servono granché. In questo momento le politiche cinesi impongono di fatto tariffe alte e forniscono generosi sussidi all’esportazione, è proprio questo l’effetto di una moneta sottovalutata sul piano nazionale e sui partner commerciali. Dovrebbe trattarsi di una violazione delle regole, e magari lo è, ma la legge in merito è piuttosto vaga.
Nello specifico, la Wto ritiene illegale un sussidio all’esportazione. E anche una tariffa sulle importazioni. D
i fatto una moneta deliberatamente sottovalutata, attraverso un intervento massiccio sui cambi per molti anni,è sia un sussidio all’esportazione che una tariffa sulle importazioni.
Ma tralasciamo i dettagli per ora. La Cina sta rovesciando sui mercati di tutto il mondo esportazioni a prezzi artificialmente bassi, cioè pratica una politica commerciale decisamente predatoria, un comportamento che la minaccia di sanzioni dovrebbe prevenire.
Dopo aver osservato bene la situazione, i cinesi hanno deciso che gli Stati Uniti non si sarebbero mossi. Perciò gli Usa devono ora affrontare la questione, e se ciò dovesse sfociare in un conflitto commerciale, ricordare che in un’economia mondiale depressa, i paesi con un surplus hanno molto da perdere e quelli con un deficit potrebbero anche guadagnarci. Detto questo, immagino di dover reagire a un articolo uscito sul Financial Times il 10 agosto, secondo il quale sarebbe la geografia, e non il cambio manipolato, a spiegare il surplus cinese.
Yukon Huang, l’ex direttore nazionale per la Cina della Banca mondiale, scrive che nel 1979, quando l’allora leader Deng Xiaoping iniziò ad aprire il paese al commercio mondiale, «Krugman iniziò a formulare le proprie teorie sulla nuova geografia economica mostrando come le economie di scala e il calo dei costi dei trasporti incoraggiano la concentrazione della produzione in alcuni posti, il che porta a sua volta a nuove configurazioni commerciali. È questo processo ad aver trasformato la Cina nel più efficiente produttore-esportatore di beni manifatturieri», scrive.
Sì, l’emergenza di tale configurazione è stata una gratificante conferma di parte del mio lavoro accademico, e mi sono abituato anch’io a usare la Cina come un’illustrazione dei temi riguardanti la "nuova geografia economica". Non capisco però la logica con la quale l’autore giunge a concludere che non dovremmo far pressione sulla Cina perché smetta di manipolare la propria moneta.
Fra l’altro, si trascura il fatto che la Cina non ha avuto grandi surplus nel suo intero boom economico, al contrario, il fenomeno è recente. Basta guardare il grafico in basso con le cifre dell’Fmi. A me suggerisce che, per continuare a crescere, l’economia cinese non ha bisogno né di surplus, né di manipolare la moneta come ora.