Roberto Stracca, Corriere della Sera 22/8/2010, 22 agosto 2010
CI SONO LETTERE D’AMORE SULL’ALTARE DI FLAMI
& ALE -
Roma, esterno giorno, scena di ordinaria metropoli perduta nel traffico. Un tassista sbraita, un uomo al volante si lamenta ad alta voce del governo e della polizia, una minicar passa con il rosso, le radio giocano a parole il quotidiano derby calcistico. Ma su un marciapiede, vicino a un semaforo, una signora con i capelli bianchi si fa il segno della croce; un gentleman di mezza età lascia un fiore; una ragazza sussurra la sua preghiera laica. E l’automobilista «perennemente incazzato» abbassa il volume dello stereo. È anche con questo particolare che si rispetta il dolore di una vita spezzata.
Qui, all’incrocio tra via Nomentana e viale Regina Margherita, a due passi da Porta Pia, Flami & Ale come li chiamavano gli amici, Flaminia Giordani e Alessio Giuliani, 22 e 23 anni, due fidanzatini con uno splendido avvenire davanti, hanno perso, il 22 maggio 2008, la vita. Travolti, sul loro motorino, da una Mercedes sparata come un proiettile che non si fermava ad un rosso. Qui, trascorsi due anni e pochi mesi, c’è un altare a cielo aperto, con piantine curate e fiori di campo, appena raccolti.
È uno dei tanti che compaiono negli angoli delle grandi città o su guard-rail delle strade ad alto rischio di pericolosità. Pupazzi di peluche, fiori, messaggini tanto banali quanto sentiti, sciarpe e magliette della squadra del cuore, una sigaretta o una lattina di birra della marca preferita. E, poi, testi di canzoni, versi di poesie prese a prestito dal libro di letteratura, biglietti di un concerto, istantanee di una gita insieme, cartoline di Paesi lontani. E, ancora, piante, lumini e santini. Modi diversi e, soprattutto, lingue diverse, sinonimo di una popolazione sempre più multietnica, per dire vorremmo che tu fossi qui.
Perché? «Sono dei luoghi sacri», spiega Franco La Cecla, antropologo e architetto. Nel suo libro Mente locale, c’è un saggio intitolato proprio Sacralità del guard-rail. Anno di pubblicazione: 1995. «Ne rimasi colpito allora e ne sono colpito anche oggi. E un’usanza non solo italiana, ma che si trova anche in Grecia, Turchia, nei Paesi mediterranei in genere. In questi posti la gente si riappropria del diritto di consacrare un luogo senza l’autorità della Chiesa. Sono luoghi che riscattano la banalità di una morte violenta e improvvisa. Non succede per le altre morti: solo per le vittime di incidenti e per gli eroi di guerra. La strada trattiene le sue vittime, ne segna il conto e il guard-rail o un marciapiede diventano luogo di memoria».
«Io vengo qui e non vado a Prima Porta (secondo cimitero romano, ndr), dove Flami & Alessio sono sepolti», confessa Teresa Chironi, la mamma di Flaminia. «Il cimitero è un luogo di morte, la strada è un luogo di vita. Lo so che la poesia del Foscolo dice il contrario, lo so in questo punto mia figlia ha perso la vita, lo so che è strano, ma io preferisco così». Non è strano se l’altare nel luogo della tragedia è un costume sempre più diffuso, se il tempo cancella i contorni di una fotografia o scolora gli striscioni («Sempre nei nostri cuori», il più diffuso), ma un lumino si accende anche dieci, quindici, venti anni dopo nello stesso luogo dove una vita si è spenta.
«Se prima che succedesse la tragedia, mi avessero detto che mia sorella sarebbe stata ricordata così, non mi sarebbe piaciuto, non l’avrei voluto», rivela Emiliano, il fratello di Flaminia. «Oggi, invece, trovo che sia commovente vedere tanti amici che continuano ad andare là, a parlare con loro come se ci fossero ancora. E poi quello che colpisce sono gli sconosciuti, i tanti sconosciuti, che lasciano messaggi bellissimi». Che i genitori di Alessio e Flaminia conservano con cura. «Sono soprattutto ragazze», svela mamma Teresa. «Cosa scrivono? Lettere toccanti, in cui raccontano la loro vita, i loro problemi, magari la tristezza di un amore infranto. Flaminia era soprannominata "Chiotty", da orsacchiotto. Anche chi non la conosceva, la chiama così... Penso che tra i giovani ci sia tanta solitudine e vedono in questi due ragazzi due "angeli" cui rivolgersi».
Come è nato l’altare? In maniera spontanea, rivela Emiliano. «Poi gli amici di Flami & Ale (nel cui nome è nata un’associazione, attivissima nelle iniziative a favore dei bambini, specie non abbienti, hanno chiesto al Comune il permesso per poter apporre la lapide». L’ha realizzata «la squadra» di Alessio e vi è impresso lo struggente pensiero di «quando stavamo in cima al mondo». «E quando — racconta ancora il fratello di Flaminia — ci sono stati dei lavori sul-la strada, la lapide e il resto degli oggetti sono stati rimossi con l’impegno che tutto sarebbe tornato com’era». Cosa fatta. Perché anche le pubbliche amministrazioni, nel loro piccolo, hanno un cuore.
«Non solo», aggiunge la signora Teresa. «I vigili ci prestano grande attenzione, gli spazzini mi raccontano che lo curano con particolare amore. Non ci vengo spesso perché non è facile, capisce: mi emoziono troppo... ». E anche il racconto si interrompe più di una volta. «Ma quando sono qui, vedo che ogni automobilista finisce per gettarci uno sguardo. C’è un architetto che, con grande pudore, ci ha contattato per dirci di aver preparato una stele da mettere qui».
«È la personalizzazione del dolore», nota Francesco Campione, docente di Psicologia clinica all’Università di Bologna e direttore di «Zeta», rivista di tanatologia. «I giovani non credono più nelle cerimonie convenzionali, e anche il rito dell’omaggio ai defunti nei cimiteri rientra tra queste. Non a caso nei giovanissimi, ora, c’è un’ulteriore evoluzione: il ricordo dell’amico scomparso su internet con video o post sulla bacheca di Facebook. In entrambi i casi parlano alla persona scomparsa con il tempo presente, come se fosse ancora lì con loro». Raccontandogli il gol della domenica, chi ha vinto Amici o come è finita la serie televisiva preferita.
«Io non ho potuto fare un altare perché mio figlio Andrea è morto (nel 1997, ndr), proprio dove passa il tram. E sarebbe ovviamente molto pericoloso. Ma mi sarebbe piaciuto, davvero». Parla così Patrizia Quaresima, membro della segreteria dell’Associazione italiana famigliari e vittime delle strade Onlus. «C’è chi vuole toglierli? Sbagliato. Sono anche un monito, un avvertimento non solo per guidatori di auto e moto, ma anche per i pedoni. Dove ci sono questi altari si verifica quel che avviene quando si transita dove c’è appena stato un incidente: si rallenta. Poi magari dopo si riprende a correre, ma per qualche minuto si rallenta e si pensa».
Già. Nel cuore delle città le macchine, poi, accelerano e rialzano il volume della musica. Sul piatto gli Articolo 31, colonna sonora di una generazione. «Sì, sei ancora qui/ che ci guardi dall’altra parte della strada/ Guardaci perché non ti sentiamo a te da qui da questa parte della strada...». Dall’altra parte della strada dell’altare di Flami & Ale, c’è un altro ricordo. Di Rocco Trivigno, «ragazzo di Lucania» che sognava di ballare come Roberto Bolle. Neanche due mesi dopo la tragedia dei due fidanzatini è stato investito, allo stesso incrocio, dal furgone di un moldavo che cercava di fuggire dalla polizia. In un biglietto che ha resistito alla pioggia record di quest’anno si legge: «Ti si può volere bene anche senza conoscerti».