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 2010  agosto 22 Domenica calendario

PUNTLAND, PETROLIO TERRORISMO E CAOS


«Quella in corso nelle montagne di Galgala non è una guerra reli­giosa o contro il terrori­smo », afferma convinta l’onorevole A­sha Ahmed Abdale, parlamentare del governo federale di transizione soma­lo (Gft). «È una guerra economica combattuta per le risorse del sotto­suolo ». Dopo alcuni anni come assistente al ministro del lavoro e ministro del di­sarmo, l’onorevole Abdale è una delle pochissime donne somale entrate in politica e che tuttora rischiano la vita per il proprio Paese. «È dal 2000 che mi occupo di corruzione in Somalia», spiega ad Avvenire qui a Nairobi: «A Mogadiscio la mia casa è stata bom­bardata più volte e continuo a riceve­re minacce dagli uomini di Abdirah­man Farole, il presidente del Puntland (semi-autonoma regione somala, n­dr). Per questo non esco mai da casa e posso denunciare solo da qui la ve­ra faccia della guerra in Galgala, la cit­tadina da cui provengo».

I problemi per la regione, contesa prin­cipalmente tra il clan dei migiurtini al potere e dei warsengheli di Galgala, sono iniziati negli anni Ottanta quan­do diverse società petrolifere interna­zionali si erano divise vari blocchi ter­ritoriali per l’esplorazione di vaste ri­serve minerali e sostanziose quantità di petrolio presenti nel territorio come evidenziato dalle prospettazioni. Con l’inizio della guerra civile nel ’91, qua­si tutto si era fermato fino a quando il Puntland, nell’ottobre del 2005, iniziò ad accordarsi per l’esplorazione mi­neraria e la perforazione di pozzi con­cesse a compagnie come l’australiana Range Resources Ltd. e più tardi la ca­nadese Africa Oil Corp. (ex Canemax Minerals Corp.): «Queste concessioni sono molto vaste, e con solo cinque pozzi scavati, l’area è una delle meno esplorate nel nord Africa», assicurano i dati forniti dal sito dell’Africa Oil. «Crediamo che l’area abbia tutti i re­quisiti per diventare una grande pro­vincia produttrice di petrolio e altri mi­nerali », confermava invece la Range Resources. Entrambe le compagnie hanno pubblicato su Internet le map­pe con le varie zone d’interesse che coincidono con l’area di conflitto nel­la regione della valle Dharoor. Sono i­noltre stati scritti vari articoli e repor­tage dal 2005 a oggi, pubblicati sia dai media somali sia da quelli internazio­nali. «Ci sarà sempre una minoranza contraria al nostro progetto per varie ragioni», aveva già dichiarato la Ran­ge Resources nell’aprile del 2006 al giornale australiano The Sydney Mor­ning Herlad .

Nel luglio scorso il conflitto è però ri­preso, con denunce del governo di pe­netrazione anche di elementi di al-Shabaab, i ribelli islamici somali lega­ti ad al-Qaeda. E per l’onorevole Ab­dala il conflitto sta producendo gravi sofferenze alle centinaia di sfollati che hanno dovuto lasciare dalle loro abi­tazioni. «Le truppe del governo hanno distrutto raccolti, bruciato le case e spaventato i miei concittadini», de­nuncia la parlamentare.

Ora come prima, molti membri del clan warsengheli non sono contro l’e­splorazione, però vogliono essere coinvolti in una discussione pacifica con Farole. Il presidente ha fatto inve­ce arrestare venerdì scorso diversi gior­nalisti somali: Abdifatah Jama Mirre, direttore della radio locale Horseed Media, si è visto infliggere per diret­tissima sei anni di carcere. Mirre è sta­to accusato di «incitazione alla vio­lenza » per un’intervista esclusiva a Sheikh Mohamed Said Atom, leader militante delle Truppe per le risorse naturali (Nrt) che combattono a Gal­gala e si oppongono al governo. Il ver­detto comunicato, pare senza un av­vocato difensore, nell’arco da una giornata alla Corte di Bosaso, capita­le commerciale del Puntland, ha pro­vocato una protesta a livello interna­zionale: «La condanna di Mirre e la detenzione arbitraria di altri sette giornalisti, sono una flagrante viola­zione della libertà di stampa da par­te dell’amministrazione del Pun­tland », ha dichiarato Reporter senza frontiere (Rsf ).

Da martedì è stato inoltre imposto un divieto totale, per tutta la stampa lo­cale, di parlare della guerra. «Farole e la sua gente hanno detto al mondo che questa è una guerra contro il terrori­smo per ottenere l’appoggio dei Paesi donatori», denuncia invece Suleiman Saleh, editore del sito d’informazione
Galgalanews.com . «In ballo però ci so­no forti interessi economici che pochi hanno il coraggio di denunciare».