Enrico Negrotti, Avvenire 22/8/2010, 22 agosto 2010
I TEST GENETICI TRA PROMESSE E SUPERMARKET
A dieci anni dalla prima mappatura del genoma umano, la medicina è ancora ben lontana dall’avere sfruttato completamente le potenzialità di questa scoperta (come ha riconosciuto recentemente, sul New England Journal of Medicine, il premio Nobel Harold Varmus), mentre le industrie biotecnologiche non hanno perso tempo per proporre usi spesso discutibili dei progressi della scienza. Se infatti la speranza della medicina è rendere possibile – grazie all’individuazione delle caratteristiche genetiche di ciascuno – diagnosi sempre più precoci e la scelta di farmaci a misura di paziente, finora la principale applicazione è stata la diffusione dei test genetici rivolti al cittadino, il cui prezzo si è ridotto ormai a poche centinaia di dollari. Molte aziende, per lo più negli Stati Uniti, offrono infatti la possibilità di inviare per posta un campione di Dna (saliva) in una provetta ai propri laboratori che lo analizzeranno e invieranno a casa il responso (anche via email). Ma se alcune – poche – malattie sono prevedibili con precisione, perché dipendono dalla presenza di un singolo gene alterato, per la maggior parte delle patologie (tra cui infarto, tumori e demenze) si possono fare solo stime molto variabili perché dipendono dall’interazione di vari fattori, genetici e ambientali, che gli stessi genetisti sono lontani dall’avere individuato con precisione.
Tuttavia, ben poche spiegazioni vengono fornite ai clienti, che si vedono recapitare responsi poco chiari e contraddittori. Come ha potuto verificare recentemente lo statunitense Government accountability office (Gao, commissione investigativa del Congresso) inviando campioni di cinque pazienti a quattro diverse aziende e ottenendo risultati molto differenti per le stesse patologie. Di fronte a risultati illusori, e a un marketing talora ingannevole, è intervenuta anche la Food and Drug Administration. L’agenzia statunitense del farmaco – allarmata anche dal fatto che stavano per essere messi in vendita kit per le analisi del Dna nella catena di supermercati Walgren – ha annunciato un giro di vite, richiamando il fatto che tali prodotti rappresentano strumenti medicali sottoposti alla sua giurisdizione. Ma quali limiti porre al florido mercato dei test genetici, a tutela dei cittadini e per evitare prestazioni sanitarie improprie, è un tema tutt’altro che condiviso e sta suscitando un ampio dibattito negli Stati Uniti, che non mancherà presto di riguardare anche le autorità regolatorie europee. Pochi giorni fa un editoriale del Financial Times richiamava l’esigenza di «regolare ma non asfissiare» il settore dei test del Dna, mettendo in guardia da un bando generalizzato ma chiedendo che l’informazione al consumatore preveda anche l’indicazione dei limiti di queste previsioni. Anche l’ Economist è intervenuto contestando la validità del rapporto Gao e suggerendo di non restringere l’accesso ai test genetici ma di chiedere alla gente come fare il miglior uso di questi strumenti.
Interventi qualificati anche dalle riviste scientifiche.
Nature consiglia alle aziende di collaborare sulle linee guida per stabilire gli standard di qualità dei test. E il genetista Arthur Beaudet (Baylor College of Medicine, Texas) sottolinea che l’interpretazione dei test – prima che l’esito sia consegnato al cliente – dovrebbe essere effettuata da un medico esperto. La bioeticista Gail Javitt ( Johns Hopkins University, Maryland) pone l’accento sul livello di rischio come indicatore se un prodotto possa essere venduto direttamente al pubblico: la differenza è quella tra un test di gravidanza e quello per la presenza del virus Hiv.
Due gli articoli recentissimi anche sul New England Journal of Medicine. Da un lato i genetisti Justin Annes, Monica Giovanni e Michael Murray, del Brigham and Women’s Hospital di Boston (Massachusetts), evidenziano i danni che i test genetici disponibili al pubblico possono causare: rischio di perdita di protezione dei pazienti rispetto al tradizionale rapporto con il sistema sanitario, risultati inaffidabili, e uno screening di popolazione condotto senza consenso su interpretazione e futuro utilizzo: i benefici promessi valgono questi rischi? I consulenti del Comitato su Genetica, salute e società ( James Evans e David Dale) e dell’Ufficio delle biotecnologie dei National Institutes of Health (Cathy Formous) chiedono viceversa di prepararsi a un’era di genomica «orientata dai consumatori»: ma occorre – aggiungono – che le tecnologie siano sfruttate responsabilmente e che le loro promesse non siano esagerate. Medici, ricercatori, mondo accademico, industrie private e governo – conclude l’articolo – dovrebbero lavorare all’unisono per rendere attuale il potenziale della medicina genomica. Un auspicio condivisibile, ma raramente realizzato.