Carla Massi, Il Messaggero 22/8/2010, 22 agosto 2010
Meno bambini e più anziani. Eppure, questa Italia che invecchia come nessun altro Paese in Europa, sembra non accorgersene
Meno bambini e più anziani. Eppure, questa Italia che invecchia come nessun altro Paese in Europa, sembra non accorgersene. Scoppia l’allarme in estate, quando fa quaranta gradi all’ombra e i nonni sono soli a casa, scoppia in inverno quando l’influenza li spinge verso l’ospedale perché a casa nessuno li assiste, scoppia quando un ottantenne muore bruciato nella stanza di un ricovero fatiscente. Sul resto è silenzio. Qualche voce strozzata dei parenti degli anziani che, in corsia, non incontrano mai (o quasi mai) un geriatra, che non hanno i soldi per pagare una badante, che si trovano un padre o una madre senza memoria da accudire, che portano un nonno al pronto soccorso e devono aspettare ore e ore. Come i giovani e i giovanissimi. Non c’è poi tanto da stupirsi. Dal momento che, in questo paese, si continuano a formare più pediatri che geriatri. Anche nell’ultimo bando, febbraio 2010, per le scuole di specializzazione post laurea: 212 posti per Pediatria contro i 122 per Geriatria. E poi, 535 per Anestesia (e sono ancora pochi), 278 per Chirurgia, 225 per Medicina Interna, 258 per Cardiologia e 392 per Radiologia. In totale, circa cinquemila posti a disposizione per i medici che si vogliono specializzare. Solo 140 i reparti di Geriatria sparsi tra gli ospedali italiani, poco meno del 10% di quelli di Medicina interna (dove generalmente vengono ricoverati gli anziani). In Italia i geriatri sono appena 2800 mentre i pediatri arrivano a 14mila (di questi settemila di base). A fare un giro tra le corsie si scopre una realtà, l’età media dei degenti supera i 60 anni, che non rispecchia le scelte universitarie-formative. E’ come se non si tenesse conto dei dati Istat che raccontano un paese con pochi neonati e tanti over 65: nel 2009 sono nati 568.857 bambini (7.802 in meno rispetto all’anno precedente) e sono morte 591.663 persone (6.537 in più rispetto al 2008). Un italiano su 5 ha più di 65 anni. Un esercito di uomini e donne che soffrono contemporaneamente di diabete, pressione alta, problemi respiratori e osteoporosi. Che camminano male, che non si accorgono di non ricordare, che fanno fatica anche a leggere. Da tempo i geriatri chiedono che venga ampliato il numero degli specializzandi. Da tempo, si è aperta la querelle, non sempre bonaria, tra i medici che curano i bambini e quelli che curano gli anziani. «Non chiediamo la riduzione dei loro posti - fanno sapere dalla Società di geriatria - ma che almeno si facciano crescere i nostri». E la situazione resta ferma. Anche se la percentuale delle persone non autosufficienti tra i 70 e i 74 anni supera il 15% e sfiora il 45% nella fascia degli ultraottantenni. Sono arrivati a dodicimila i nostri centenari. Solo dieci anni fa non se ne contavano più di settemila. «Eppure anche le ultime sperimentazioni - spiega Roberto Bernabei, Direttore del dipartimento di Scienze gerontologiche, geriatriche e fisiatriche dell’università Cattolica - dimostrano che la presenza del geriatra in ospedale accorcia i tempi di degenza, riduce il tasso di riospedalizzazione, della disabilità e mortalità ad un anno dalle dimissioni». Le ultime sperimentazioni, proprio in Italia, hanno un nome, progetto “Codice argento”, i cui risultati preliminari dell’ospedale Careggi di Firenze che ha fatto da apripista nel reparto di Geriatria diretto da Niccolò Marchionni sono stati pubblicati sulla rivista scientifica internazionale “Journals of Gerontology” analizzando i dati di 11mila persone di oltre 75 anni. Il progetto consiste nell’aver aggiunto, nei pronto soccorso, il codice argento (riservato agli anziani con situazioni gravi) oltre al bianco, verde, giallo e rosso. Introdotto in via sperimentale nel 2009 ha dato esiti così soddisfacenti da essere stato esteso, quest’anno, per volontà del ministro della Salute Fazio, anche al Lazio (Policlinico Gemelli, ospedale Israelitico e quello di Cassino) al Veneto e alla Sicilia. A fine anno si chiude anche questa sperimentazione. Il codice argento, a sua volta, è stato suddiviso in vari livelli secondo la gravità delle condizioni del paziente. Nel caso in cui all’ultrasettancinquenne venga assegnato un punteggio sopra 11, quindi alto grado di fragilità e rischio mortalità, si decide per il ricovero in un reparto di geriatria. «In questo modo, a distanza di un anno dalle dimissioni - aggiunge Bernabei che coordina il progetto nazionale - abbiamo verificato che la mortalità, durante e dopo la degenza ospedaliera, si riduce del 40%. Si è osservato che il ricovero in un reparto di geriatria o di medicina interna può fare la differenza fra morire e sopravvivere. Il geriatra utilizza una valutazione generale del paziente. Pensa alla terapia, alla riabilitazione, all’assistenza domiciliare».