Giovanni Belardelli, Corriere della Sera 23/8/2010, 23 agosto 2010
PER FAVORE NON CHIAMATELE SQUADRE
A prima vista la notizia sembra il frutto di uno scherzo agostano: il Pdl si accingerebbe a costituire proprie «squadre della libertà», composte da militanti incaricati soprattutto di radicare il partito sul territorio e, in caso si dovesse tornare presto alle urne, di vigilare sulla regolarità delle operazioni elettorali. Nulla da dire su compiti del genere, abbastanza tradizionali e non troppo diversi — è da credere — dall’azione «porta a porta» annunciata in questi giorni dal Partito democratico. Quel che pare invece incredibile è che ai vertici del Pdl nessuno abbia pensato all’inopportunità di riesumare il termine «squadre» che non può non ricordare a tutti gli italiani quelle esistite ai tempi di Mussolini.
È ovvio che le «squadre» del Pdl agirebbero nel rispetto della legalità e dunque (c’è bisogno di dirlo?) che nulla hanno a che fare con quelle degli squadristi in camicia nera. Ma le parole hanno una storia e un peso. Dunque, in un Paese in cui una parte dell’opposizione si ostina non a criticare duramente Berlusconi (che opposizione sarebbe, sennò?) ma a ritenerlo addirittura come il creatore di un nuovo fascismo, il Pdl non poteva cadere in un autogol più clamoroso attribuendo di fatto ai propri militanti la qualifica di squadristi, che suona male anche a voler usare l’espressione, vagamente surreale, di «squadristi della libertà».
In realtà, perfino il colore previsto per le camicie degli appartenenti alle squadre è stato mal scelto. Benché deciso pensando evidentemente al colore di Forza Italia, ha infatti un precedente storico non proprio commendevole. Novant’anni f a , nel pr i mo dopoguerra, l e «camicie azzurre» le indossavano i Sempre pronti, le squadre armate che il partito nazionalista di Alfredo Rocco e Luigi Federzoni aveva fondato in alleanza, ma un po’ anche in competizione, con le camicie nere di Mussolini.
Insomma, è da augurarsi che il Pdl ritorni sui suoi passi ed eviti di voler impiegare termini che sembrano ispirati a un incomprensibile autolesionismo. Pur se, va aggiunto, non si può fare a meno di notare come forse l’infortunio linguistico sia anche il s i nt o mo di qualcos’altro : di un’inclinazione ad affrontare le questioni politico-organizzative sopravvalutando l’effetto annuncio, con il rischio di dar prova, come questa volta è appunto accaduto, di un’estemporaneità che poteva essere evitata.