SANDRO CAPPELLETTO, La Stampa 21/8/2010, pagina 34, 21 agosto 2010
Sollima: il concerto? È un rito vecchio - I confini della musica? Sono mobili, come quelli che disegna la sabbia nel deserto»
Sollima: il concerto? È un rito vecchio - I confini della musica? Sono mobili, come quelli che disegna la sabbia nel deserto». Il violoncellista Giovanni Sollima, palermitano, 48 anni, è appena tornato dal festival Suoni delle Dolomiti dove ha eseguito la Piccola Suite dalla celebre Opera da tre soldi di Brecht, il Concerto per violoncello e orchestra dell’austriaco Friedrich Gulda ed estratti da Façade di William Walton affiancato dai giovani musicisti dell’orchestra trentina J.Futura. Il musicista siciliano è uno a cui piace infrangere le regole e accostare la contemporanea alla musica barocca perfetta per il suo strumento, nato nella bottega di Francesco Ruggeri nel 1679. «Il barocco è il periodo in cui il violoncello definisce se stesso. La sua forma, le sue possibilità. Allora, c’era l’abitudine di improvvisare: un atteggiamento che mi affascina perché lascia libero campo alla creatività, anche la più visionaria. Sono atteggiamenti che considero vivi, attuali, necessari per ogni interprete di oggi, come lo sono stati per i primi musicisti ». Lei, oltre che interprete, è anche un apprezzato compositore. Che relazione c’è tra queste due nature? «Considero il mio violoncello come una sonda. Uno scanner di legno che indaga e “fotografa” il tempo, quello di oggi e quello passato, anche lontanissimo, che tuttavia continua a parlarci. L’eco arcaica della mia Sicilia e del Mediterraneo e i suoni del mondo di oggi: la musica è arte leggera, volatile, che sempre si muove». Spesso nei suoi programmi figura un omaggio ad Astor Piazzolla. Quanto è grande la sua musica? «Possiede una solidità straordinaria e nello stesso tempo consente ai musicisti di interpretarla con libertà. Come può accadere con certi brani del jazz. In quel suono c’è sempre un’anima, inconfondibile. Come Vivaldi, Piazzolla ha un codice genetico suo, oggi imitatissimo». I concerti in montagna; Elio e le sue sempre più frequenti incursioni lontane dal rock; l’Orchestra dei Diritti Umani, e la Spira Mirabilis, la formazione di giovani professionisti che rifiuta la presenza di un direttore. Tanti indizi fanno una prova: che cosa sta cambiando nel rito del concerto e nel rapporto tra artista e pubblico? «Sta cambiando la composizione chimica di questo rapporto, si stanno abbattendo certe intercapedini storiche tra pubblico e artista. Il concerto come lo conosciamo oggi è un rito vecchio: sono persuaso che stiano nascendo altre ritualità. La composizione del mio pubblico, molto varia per età, formazione, abitudini, sembra perfino pretendere queste novità». I programmi che propone risentono di questa varietà? «Un pubblico energico, pieno di emotività, che ti segue anche nei luoghi più informali, accetta contrasti stridenti, di epoche, di stili. E consente all’artista di scoprirsi, di osare». Anche lei è arrivato all’appuntamento inevitabile e desiderato per ogni solista di violoncello: l’incontro con le sei Suites di Bach. Come le affronta? «Ho iniziato a registrarle e, prima di ogni seduta, come mia abitudine, improvviso. Un’improvvisazione che ogni volta cambia, così come la musica di Bach, nella sua immensità, ogni giorno muta, ogni giorno ti guarda e ti parla in maniera diversa. Userò violoncelli diversi e queste improvvisazioni diventeranno parte del disco. Come un devoto cammino di avvicinamento al suo genio».