ELENA LOEWENTHAL, La Stampa 21/8/2010, pagina 21, 21 agosto 2010
“Mamma, cos’è il telefono fisso?” - Il mondo cambia. Così in fretta che non è più quello in cui crediamo di abitare noi adulti, ma un altro
“Mamma, cos’è il telefono fisso?” - Il mondo cambia. Così in fretta che non è più quello in cui crediamo di abitare noi adulti, ma un altro. Questo pensano i dirigenti del Beloit College nel Wisconsin, che hanno preparato un prontuario per i docenti, in previsione dell’incontro con le matricole di quest’anno che si diplomeranno nel 2014. Il prontuario è ricco di informazioni utili per la comunicazione intergenerazionale: mette nero su bianco la distanza abissale che ci separa dai nostri figli. Tutto sembra – e presumibilmente è – diverso, fra noi e loro. Il Beloit College segnala gli effetti collaterali della tecnologia, degli assetti politici internazionali, della rivoluzione informatica in America. L’accurato elenco ci dice ad esempio che, se trovano nel ripostiglio dei genitori un astuccio cilindrico contenente una pellicola fotografica, i ragazzi del 2014 non sanno cosa sia. Per loro Beethoven è un classico nome da cane, la Cecoslovacchia e la Jugoslavia non sono mai esistite e da che mondo è mondo Woody Allen sta con Soon Yi (di Mia Farrow si son perse le tracce). E se Clint Eastwood per loro è «soltanto» un regista, c’è da scommettere che i coetanei italiani non immaginano che il caro nonno Libero, alias Lino Banfi, sia stato lo scoppiettante protagonista di una serie di commedie erotiche (all’acqua di rose, ma pur sempre). Poi c’è la rivoluzione tecnologica. Certo, ormai siamo tutti computer dipendenti. Ma se noi adulti riusciamo a pensare un mondo senza tutto questo, perché l’abbiamo vissuto, loro no. Non concepiscono di non sapere chi ti chiama al telefono: l’anonimo «pronto» alla risposta è estinto, perché allo squillo corrispondono un nome e una reazione apposita. L’irreperibilità è un atto di sfida o un’emergenza, non più la condizione di chi si sta spostando da un luogo all’altro. Se non rispondi al telefono, è perché non ti va. Scrivere non è più una faccenda di mano e polso, quanto di polpastrelli. Si dice «digitare», infatti: i nostri figli hanno una dimestichezza precoce con la tastiera, senza studiare dattilografia. E internet che, ammettiamolo, continua a riempire noi adulti di incredulo stupore, per loro è un fatto dovuto. L’informazione sta tutta lì. La ricerca non è più un esercizio critico, ma meccanico. Quando spieghi che se cerchi qualcosa su Google, mettendo le virgolette alla «frase» restringi il campo, risparmi tempo e fai un’operazione «intelligente», ti guardano con un sorriso di sufficienza, perché tanto a quel che cerchi ci arrivi due nanosecondi più tardi, senza virgolette. E se per noi copiare era sinonimo di trasgressione, per loro è soltanto il primo emistichio del comandamento completo: copia e incolla. La televisione. D’accordo, ce l’avevamo già anche noi. Forse la guardavamo persino più di loro. Adesso, però, chi si domanda più «cosa c’è da vedere stasera in tivù?». In tivù si guarda quel che si vuole, che ci si sceglie. O lì o direttamente dal computer. Dal mondo virtuale a quello reale, la storia è la stessa. I confini si varcano facilmente: quelli dell’Europa poi non ci sono più e quando provi a spiegare che una volta fra Francia e Italia, Olanda, Germania c’era da passare la dogana, mica ci credono. E poi ci sono i voli low cost, il che significa che se ai tempi nostri da ragazzi in vacanza si andava in campeggio, adesso le frontiere le attraversi con un pugno di euro e come niente ti ritrovi a Barcellona e Budapest. A proposito, anche la geografia umana è cambiata drasticamente: se la Spagna una volta era l’Europa depressa, adesso è quella trendy. L’Unione Sovietica e la cortina di ferro sono per i nostri figli tutta roba leggendaria. La Cina è sinonimo di sviluppo incalzante, altro che Mao Tse Tung. Ma forse, più dei lineamenti geopolitici, più della dimestichezza tecnologica, c’è qualcosa che segna inesorabilmente la distanza fra giovani e adulti: il linguaggio. Loro non parlano più i dialetti, da un capo all’altro dello stivale, isole comprese. Anche l’inflessione regionale è spesso sfumata: vige piuttosto una parlata di appartenenza identitaria. Il tamarro parla sempre nello stesso posto, ovunque si trovi. L’aspirante top model allunga le vocali che sia di Bolzano o di Reggio Calabria. Per scritto, loro si capiscono usando codici di faccine e sequenze di punti esclamativi che noi facciamo finta di capire anche se non è così. Come per tutto il resto, del resto.