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 2010  agosto 21 Sabato calendario

La folle corsa dell’Occidente verso la lentezza - Non è argomento da spiaggia né da mon­tagna

La folle corsa dell’Occidente verso la lentezza - Non è argomento da spiaggia né da mon­tagna. In vacanza, so­prattutto ad agosto, mai parlarne: si cor­re il rischio, discuten­done a tavola, di far riscaldare trop­po il vino bianco. Tuttavia, con un po’ di coraggio, si può constatare quanto il Vecchio Mondo si stia arenando: non nella crisi economi­ca o morale, bensì nello «slow», nel culto della lentezza. Una di­mensione tra l’epicureo e il consu­mista, dove sgusciar gamberi e non pensare al domani (ma al con­to del ristorante sì). Se gli effetti di questo culto fosse­ro più visibili, si potrebbe parlare apertamente di «un’epidemia di Slow». In realtà sono necessari buoni radar socio-psicologici per intercettare le conseguenze che il prefisso «slow» riesce a ottenere una volta messo davanti ai diversi aspetti della nostra quotidianità. Un punto di partenza potrebbe es­sere dare un’occhiata alle uscite editoriali dedicate al tema: Un ar­gonauta contromano. Diario di un viaggio in slow economy di Ma­ria Senesi (da Milano a Senigallia in pedalò, Il Sole 24 Ore Libri), Mangi, chi può. Meglio, meno e pia­no. L’ideologia di Slow Food di Lu­ca Simonetti ( Mauro Pagliai Edito­re), Slow Food. Una storia tra poli­tica e piacere di Andrew Geoff (Il Mulino), Genitori slow. Educare senza stress con la filosofia della lentezza di Carl Honoré (Rizzoli). A questi possiamo aggiungere di­verse guide Lombardia slow foot , divise per provincia, e il misterio­so trattatello di Slow architecture di Enrico Frigerio (Libria editore), basato sull’idea di un’architettura «progressiva» che «vive nel tempo e trae dal contesto le risorse per la sua definizione». E si potrebbe continuare. Quasi un anno fa vendette parecchio (a novembre e dicembre 2009 occu­pò tra il primo e il terzo posto di varie classifiche nazionali) il sag­gio di Federico Rampini Slow eco­nomy. Rinascere con saggezza (Mondadori), che in pratica pro­pugnava, per usare le parole di un recensore, «il piacere dei passi fel­pati, dei gesti compassati, di con­sumi più frugali e di energie rinno­vabili » e invitava a lasciarsi alle spalle «un’agenda fitta di impe­gni » a favore di un «lavoro lento» e di gesti «antichi» come innaffiare le piante con l’acqua in cui si è bol­lito il riso. Strano messaggio, pro­prio nel mezzo della crisi economi­ca globale, ma dipende dai punti di vista (a questo proposito il «downshifting», l’abbandonare una carriera solida per vivere ­spesso di rendita ma è meglio non dirlo - a contatto con la natura e la lentezza è il fenomeno gemello della «slowness»). Il libro di Ram­pini potrebbe fare il paio con Slow Money. Per investire sul futuro del­la terra di Woody Tasch (editore, nientemeno, Slow Food) e con il long seller Elogio della lentezza dell’esperto aziendale Lothar Seiwert (sperling & Kupfer), più qualche altra decina di titoli usciti negli ultimi 24 mesi. Mentre legge­te queste righe, poi, si sta tenendo tra Martina Franca, Locorotondo e Cisternino, il Festival dei Sensi, occasione quanto mai «slow» per ascoltare tra antiche masserie, trulli, merletti e profumo di finoc­chio selvatico «importanti rifles­sioni filosofiche legate al mondo dei sensi». C’è da rimanere perplessi. «La cosa che più mi colpisce in questa “corsa allo slow” - ci dice Claudio Risé, autore di diversi saggi di psi­cologia, psicanalista e docente universitario - è che sembra na­scondere una grande fatica a cre­scere. Si afferma la lentezza con­tro l’inevitabile velocità della cre­scita. Non a caso si dice che la no­stra è una società di eterni adole­scenti: Gombrowicz osservava che l’immaturità era lacaratteristi­ca dei suoi contemporanei ed è an­cora più vero per l’oggi. Ne parla anche Günter Grass nel Tamburo di latta , la storia del ragazzino che non vuol diventare grande. La slowness è una giustificazione ide­ologica per tutto questo. È il piace­re di rimanere in una fase della vi­ta in cui ci si occupa soprattutto del piacere, il che mi ricorda le pa­role di Edgar Allan Poe: mentre l’uomo si pavoneggia e fa il Dio, un’imbecillità infantile si abbatte su di lui. Il nostro è un tempo velo­ce, invece, che richiede una pre­senza impegnata e impegnativa. Davanti a questa sfida, la mistica dello slow è un modo di schermar­si. Ma non dimentichiamo, è stato detto più volte, che l’Occidente ha vinto perché era più veloce». Di questo passo il culto dello slow rischia di avvelenare anche la struttura economica della socie­tà e portar frutti solo a coloro che ­molto rapidi in questo - sono stati capaci di costruire sullo slow un business «terapeutico», basato sul «coccolarsi», sul falso prestigio dell’aver tempo e su enigmatici sa­pori che richiederebbero rispetto­sa lentezza per venir assaporati «nel giusto modo». Dire che tutto questo l’abbiamo preso dalle im­mobili culture asiatiche è una mez­za verità: in Asia il tempo ha un va­lore simbolico. L’attuale dinami­smo di Cina e India, per esempio, non deriva da un’improvvisa (e ca­pitalista) scoperta della velocità, quanto piuttosto dalla consapevo­le scelta del tasto «veloce» rispetto al tasto «lento», che cinesi e india­ni conoscono altrettanto bene del primo e su cui sanno giocare da sempre con ottima alternanza. «Tutto questo slow - ci dice Fau­sto Manara, psichiatra e psicotera­peuta che nei suoi libri, in partico­lare in Un angolo tutto per me (Sperling & Kupfer), ha affrontato diverse volte l’argomento - è co­munque un tentativo comprensi­bile di andare contro corrente in un mondo in cui il problema del tempo a disposizione di ognuno è drammatico. Viviamo in una cultura compressa, velo­cissima: oggi un minu­to di Tv, mi diceva un addetto ai lavori, pe­sa quanto Ben Hur . In questo clima lo slow è l’illusione ma anche il tentati­vo di sopperire a una necessità vita­le: essere padroni di alcune esperienze dell’intimità e del pen­siero che non possono, e non devono, essere sequestrate dal tempo veloce. Quanto alle pro­poste della slow economy, sono co­me un falso in atto pubblico: sap­piamo che le cose, nella realtà, stanno e vanno diversamente. Spezzerei invece volentieri una lancia a favore della pipa: un mo­do lento, e perfetto nel suo equili­bro, di godersi il tempo rapido del fumo. La vita dovrebbe essere co­sì ».