Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 25 Mercoledì calendario

QUANDO LA "COGNATITE" COLPI’ ANCHE IL DUCE


Milano, agosto
I potenti di ogni epoca hanno sempre avuto mogli, compagne e amanti ad assillarli con raccomandazioni. Gianfranco Fini come Benito Mussolini. Claretta Petacci, amante del Duce, era asfissiante. Conobbe Benito a 20 anni, nell’aprile 1932. I due non si erano scambiati neanche un bacio, ma pochi mesi dopo lei era già lì a pretendere. Per suo padre, il fidanzato, il fratello. Ecco la trascrizione di una telefonata del 15 dicembre ’32, dal libro Mussolini segreto (Rizzoli, 2009) con i diari di Claretta. La cui autenticità è garantita dall’Archivio di Stato che li ha resi pubblici dopo 70 anni. Claretta: «La causa di mio papà. Bisogna che lei se ne interessi. Ecco, ho qui dei nomi». Mussolini: «Già, vedo. Ma io non posso far nulla direttamente, non posso interessarmene. In dieci anni non mi sono mai incaricato di giustizia, per un sentimento mio di coscienza». C. «Già, ma la giustizia...» M. «Farà il suo giusto corso. Il tuo fidanzamento, come va?» [Claretta è fidanzata con Riccardo Federici, tenente dell’Aeronautica, 28 anni, ndr]. C. «Il mio fidanzamento dipende da Vostra Eccellenza» [vuole un trasferimento che avvicini il suo Riccardo a Roma, ndr]. M. «Da me? Sai che non è possibile, perché c’è la legge che lo vieta. Te l’ho detto». C. «Appunto perché esiste una legge che lo vieta, ho domandato il suo consenso. Altrimenti era inutile disturbarlo». M. «Già, ma non è possibile far nulla, e lui pure deve saperlo». C. «Precisamente, il tenente (mio fidanzato) non voleva fare la domanda per via gerarchica perché sapeva di non poterla fare, e perciò la diresse a lei. Era inutile andare per una strada che già si conosceva impossibile». M. «Ma io di fronte ad una legge che vige non posso far nulla. Non posso essere io, il capo, a trasgredirla». Nel marzo ‘34 Claretta, ormai sposata con Federici (e ancora allo stadio platonico con Mussolini) cambia obiettivo: C. «Perché non lo fa suo aiutante di volo?» Mussolini: «Perché conosco te». C. «Ebbene che c’entra? Anzi, ragione di più». M. «No, perché direbbero: “L’ha fatto aiutante di volo perché è l’amico della moglie”». (...) C. «Quanti scrupoli di coscienza». M. «È questo il mio forte, se non avessi così profondamente coscienza non riuscirei a vincere gli altri». C. «Ma pure Napoleone prendeva a benvolere delle ragazze e le favoriva». M. «Già, e questa era una sua debolezza». (...) C. «Capisco, non mi aiutate perché non mi volete più bene». M. «Non posso». C. «Fate conto che io sia vostra figlia». M. «Già, ma non lo sei. Io i miei parenti li pesto più che posso, non li aiuto mai, ho questa abitudine». Abitudine che già l’anno dopo abbandonerà. Scrive infatti Claretta a Mussolini del ’35: «Ecco i documenti di mio fratello [Marcello, fascistissimo, che verrà fucilato a Dongo nel ‘45, ndr], che Ella con tanta benevolenza mi ha richiesto e di cui vi è copia alla sede del fascio. Le sono infinitamente grata di quest’altra prova di affettuoso interessamento che Ella ha voluto darmi (...)». Anche la mamma di Claretta, felice per uno dei tanti favori di Mussolini al figlio, lo ringrazia in una lettera del 29 ottobre ‘36: «Ancora una volta per Voi c’è nel mio animo un raggio di luce. Per la Vostra grande bontà Vi ringrazio con cuore riconoscente di mamma. Sono certa che il mio Marcello corrisponderà sempre degnamente a questo Vostro prezioso interessamento».

GLI AIUTI PER IL “SUOCERO”

Nell’ottobre ’36 Claretta (separata dal marito) e Benito sono ormai amanti. Lei gli chiede di proteggere il padre Francesco Saverio, medico del Vaticano, da un tizio con cui è in causa: «Perdonami se ti disturbo, se ti parlo di cose estranee al mio amore... ma come fare senza il tuo consiglio? Papà avrebbe lasciato libero l’appartamento per aderire all’accordo. (...) Hanno ricorso a Sua Eccellenza Pacelli [Eugenio Pacelli (1876-1958), segretario di stato vaticano, diventerà papa Pio XII nel ‘39, ndr], mettendo in cattiva luce papà anche presso il governatore». Un anno dopo, 15 ottobre ‘37: «Mi dice di Marcello [ha combinato un guaio, ndr], che stia tranquilla, che non gli fanno nulla, e che prima di esprimersi con tanta leggerezza su di un ufficiale ci pensino e stiano attenti a quello che fanno». Nove giorni dopo: «Lo trovo scuro. C’è la questione riguardante Marcello, una vigliaccheria che vogliono fargli, un’infamia. Io scatto, mi dispiaccio, mi viene da piangere, (...). Lui si convince, mi calma. Dice che farà di tutto perché nulla di male avvenga, capisce che qualcuno ad arte ha esagerato per fargli del male. “Farò il tuo amante e il suo ministro...». Due giorni dopo, il verdetto. Mussolini dice a Claretta: «Volevano dargli niente di meno che la fortezza [il carcere, ndr] per una scemenza di così poco valore. Allora ho detto di andarci piano (...). Se la caverà con una decina di giorni di arresti semplici o di rigore, non so, che poi non farà perché lavorerà lo stesso». Mussolini ordina al quotidiano Il Messaggero di far scrivere il padre di Claretta: poi le chiede: «Tuo padre è contento degli articoli? Dopo dieci di questi lo faccio collaborare fisso, prenderà 2.000-2.500 lire al mese. Poi, nel ‘39, lo farò senatore. Sei contenta?». La nomina al Senato non va in porto. E il 24 gennaio ’39 Claretta scrive: «Gli dico che mi è dispiaciuto abbia fatto la legge dei 60 anni [età minima per diventare senatore, ndr] che lascia fuori papà. Rimane male e dice: “Non sapevo che tuo padre fosse ancora così giovane (...)». Ma Claretta gli fa una scenata: «Rispondo come devo e mi vengono le lagrime». Intanto è iniziata la costruzione di una villa sulla Camilluccia per tutta la famiglia Petacci. Il 16 luglio ’38 Mussolini chiede a Claretta: «Dimmi, tua madre ha fatto tutto il pagamento? Bene, così ora sei proprietaria. Bisogna fare il mutuo, non per me ma per la gente, capisci. Sono contento che tu abbia qualcosa. Io sono nemico di avere beni, cose, tenute, ma ciò non toglie che sia contento che li abbiano gli altri». E il 20 dicembre ’38 di nuovo un pensiero per il «cognato»: «Che fa il nostro? Hai ragione, a un certo momento bisogna sistemare un uomo, ormai ha trent’anni. Domani me ne interesserò, ora lo segno».