Giordano Tedoldi, Libero 21/8/2010, 21 agosto 2010
«LA MUSICA CLASSICA È MORTA»
[Intervista a Ludovico Einaudi]
A 55 anni Ludovico Einaudi si sente sempre meno pianista e sempre più compositore totale. Dal suo ultimo album, Nightbook (2009), per il quale racconta di essersi ispirato al tema del sogno e dell’irrazionale, la sua musica, una miscela ipnotica di world music, ritmica pop e felicità melodica tutta italiana, si è come scurita e approfondita, quasi fosse accompagnamento di un cerimoniale, di un rito più coinvolgente e spiazzante del classico concerto nei teatri.
Non per caso lo raggiungiamo al telefono mentre è impegnato nelle prove per il festival della Notte della Taranta, che si svolge in vari comuni del Salento e terminerà con il grande concerto del 28 agosto a Melpignano. Questa sembra essere la strada tracciata per il suo percorso artistico: apertura al popolare nel senso primigenio, lontano sia dai mondi rarefatti della classica pura che dal pop commerciale. Einaudi, ci racconta cosa fa laggiù nel tacco d’Italia? «Sono in Puglia per due settimane di prove per questa Notte della Taranta. Sarò maestro concertatore del concerto conclusivo della manifestazione, che durerà oltre tre ore, con orchestra e voci salentine. Ho svolto un lungo lavoro di selezione tra le moltissime musiche popolari di questa terra, ne ho scelte 30 e le ho riarrangiate».
È la prima volta che si confronta con la musica popolare e etnica? «No, cinque anni fa ho realizzato un disco, “Diario Mali”, frutto di una collaborazione con il musicista africano Ballakè Sissoko, poi mi sono anche occupato di musica armena, ma è la prima volta che m’immergo nella pizzica e nella taranta».
Le piace?
«Adesso sono assolutamente tarantato». Ottimo, sarà un grande concerto. Facciamo qualche passo indietro. Lei viene da una tradizione musicale classica o colta che dir si voglia, studi al conservatorio con nomi importanti come Luciano Berio e Azio Corghi. Quando ha deciso di rompere con quel mondo e dedicarsi a una musica più accessibile e immediata?
«A dir la verità fin da ragazzino, a Torino, ascoltavo soprattutto il pop internazionale, il rock, il blues, il jazz. In particolare di tutte queste musiche mi attraeva una cosa che la musica classica mi sembra aver perso: l’attaccamento alle radici. Queste musiche mostravano tutte da dove provenivano, un legame forte con un luogo e un tempo. Quindi il mio istinto già allora mi portava a seguire questi generi più popolari ma lontani dall’astrattezza della classica. Del resto la musica si è sempre nutrita dell’elemento popolare, che è la madre di ogni genere musicale. I jazzisti come i grandi compositori classici hanno sempre attinto alle radici della musica».
E quando si è reciso il legame della musica colta con le radici popolari? «Il colpo di grazia l’hanno dato le avanguardie del primo Novecento, la musica dodecafonica, tutti quegli sviluppi che hanno voluto vedere nella musica solo intelletto. Che senso ha comporre una musica che, in qualche modo, già seleziona anticipatamente il tipo di pubblico cui si rivolge? Accessibile solo a quegli ascoltatori che hanno la chiave per decifrarla?»
Non teme che, sostenendo questo, possano accostarla, con rispetto parlando, a Giovanni Allevi? Anche lui sostiene che la musica debba uscire dalla torre d’avorio dei sapienti, e si è preso le bacchettate del violinista Uto Ughi.
«Guardi, quella è stata una polemica inutile. Per cominciare Uto Ughi è un interprete, non un compositore, e dunque vede le cose da un punto di vista diverso rispetto a chi oggi si pone il problema di creare nuove musiche. E poi in quell’occasione credo ci fosse in ballo soprattutto la questione del tradizionale concerto natalizio al Senato, e chiamare Allevi è sembrata una dissacrazione. Comunque può anche darsi che, uscendo dai confini della musica colta, nascano fenomeni ispirati da logiche commerciali e di marketing, ma questo vale per ogni musicista, essere onesto con se stesso e il pubblico, occuparsi della sua arte. Anche in passato bisognava fare i conti con pressioni esterne al proprio mondo poetico».
Allora glielo chiedo esplicitamente: Allevi è un fenomeno commerciale e di marketing?
«Guardi, Allevi non è il mio punto di riferimento. Non è che io la mattina mi sveglio e mi ascolto quel genere di musica, poi da qualche tempo mi interesso anche di altri strumenti e organici, cose molto diverse dalla musica per pianoforte o prevalentemente pianistica. Torna la questione di prima, un artista deve avere la capacità di staccarsi anche da influenze e pressioni, io faccio così, seguo il mio mondo poetico e l’istinto».
STUDI IMPORTANTI
Ludovico Einaudi (1955) è uno dei più noti pianisti e compositori italiani. Ha studiato, fra gli altri, con Azio Corghi e Luciano Berio.
LA CARRIERA
Einaudi ha registrato album di successo a livello internazionale. Nel 2003 la sua raccolta “Echoes” ha raggiunto nel Regno Unito le 100 mila copie vendute. L’anno successivo il suo album “Una mattina” è arrivato, sempre in Uk, al primo posto delle classifiche di musica classica. Il disco successivo, “Divenire”, ha venduto oltre 300 mila copie e in Italia ha vinto un disco d’oro. Il suo ultimo lavoro è “Nightbook” (2009).
IL FESTIVAL
Sabato prossimo Ludovico Einaudi parteciperà al festival “Notte della Taranta” in occasione della serata conclusiva a Melpignano. Per informazioni: www.lanottedellataranta.it.