Luigi Grassia, La Stampa 21/8/2010, 21 agosto 2010
ALLARME BIRRA, IL MONDO RESTA SENZA L’ORZO RUSSO
Il mondo non morirà di fame per mancanza di grano russo ma potrebbe morire di sete per mancanza di orzo russo con cui fare la birra.
Del falò di boschi e campi coltivati che ha distrutto i raccolti e indotto Mosca a bloccare le esportazioni di cereali è rimasto vittima anche l’orzo, una pianta usata per distillare proprio la birra. «Dobbiamo proteggere il nostro stock di bestiame» ha detto il primo ministro Putin nel motivare il blocco dell’export di cereali assortiti, e l’orzo per il bestiame è un alimento base. Le varietà usate a questo scopo erano già raddoppiate di prezzo sui mercati internazionali negli ultimi due mesi, cioè prima che scoppiassero incendi in mezza Russia, per ragioni indipendenti, e dopo che ci si è messo il fuoco il problema si estende a tutti i tipi di orzo, compreso quello con cui si produce la birra.
La birra nell’alimentazione mondiale conta meno delle pagnotte, molto meno, però va considerato che mentre la Russia, per quanto riguarda il grano, è solo un produttore fra i tanti, e se pure venisse a mancare il suo apporto ci sarebbero tanti altri Paesi a sopperire, nell’orzo Mosca pesa come l’Opec nel mercato del petrolio, anzi di più: circa metà del raccolto globale atteso nel 2010 sarebbe stato di provenienza dall’ex Unione sovietica (cioè Russia e Paesi limitrofi). Il comparto birra non ne può fare a meno.
Attenzione: se fin da domani i marchi distributori di birra cominciassero ad aumentare i prezzi delle lattine e delle bottiglie con la scusa della carenza d’orzo si tratterebbe di una bassa speculazione, perché gli analisti del settore dicono che «i grandi produttori di birra comprano le scorte di orzo sui mercati internazionali con circa dodici-diciotto mesi di anticipo»; quindi una reazione immediata dei listini non sarebbe giustificata.
Ma è chiaro cha se la situazione in Russia non si risolve al più presto, e le forniture non ricominciano, la strozzatura globale nell’offerta di orzo si proporrà in un futuro prossimo. E siccome i mercati hanno l’occhio lungo, stanno già reagendo, con un trend in discesa in queste settimane giorni (sia pure bilanciato da oscillazioni) delle quotazioni di Borsa dei principali produttori di birra: Anheuser-Busch, Budweiser, Stella Artois, SabMiller eccetera.
Da notare un’apparente anomalia. Per quanto riguarda gli idrocarburi, se il prezzo del petrolio sale, crescono pure le quotazioni delle compagnie del settore, perché aumentano il prezzo della benzina e i margini di profitto; mentre se a salire è il prezzo dell’orzo, le azioni dei birrai vanno giù, perché rischiano di prosciugarsi in un colpo solo la materia prima, la birra e il fatturato. Per lo meno se l’orzo di cui si parla è quello russo.
S’infiamma la guerra del potassio. Bhp Billiton ufficializza l’Opa ostile di circa 40 miliardi di dollari su Potash ma il gigante canadese dei fertilizzanti prova ad alzare le barricate sollecitando offerte alternative per tenere alla larga il gruppo minerario australiano. Bhp ha messo sul piatto 130 dollari per azione e gli azionisti di Potash dovranno decidere se accettare o meno l’offerta entro il 19 ottobre prossimo. I vertici di Potash si sono immediatamente mobilitati avvertendo gli azionisti di ignorare l’offerta per poter valutare con calma e in modo dettagliato tutta la documentazione. Al tempo stesso il colosso canadese sta esplorando tutte le possibilità di un’alleanza con altre multinazionali del settore petrolchimico per conservare la propria indipendenza. Bhp, infatti, punta decisamente a rilevarne il controllo totale. Tra i “cavalieri bianchi” l’anglo-australiana Rio Tinto, la brasiliana Vale e la cinese Sinochem.