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 2010  agosto 14 Sabato calendario

VITA DI CAVOUR - PUNTATA 29 - LA MORTE DI ANNA

Possiamo considerare conclusa, col capitombolo in Borsa, la giovinezza del conte di Cavour?
Gli portarono un pacchetto, conteneva tre lettere e un piccolo diario. Aprì il diario. «26 aprile 1836, ore 3.30 del mattino. Quando Dio m’ha creata era in collera. Far soffrire tanto un’anima in un corpo di femmina. Ah! Che distrugga questa maledetta prigione! Non mi piace la mia condizione di donna. Perché non sono stata consultata? Nascere così, senza sapere quel che si è…».
Nina.
Cavour aprì una delle tre lettere. «Camillo! Sai chi sono? Ti sei dimenticato di questa donna che ti amava?... Nina. Questo nome non dice nulla al tuo cuore? Scomparsa per sempre dalla terra dove ti vidi, anche la mia immagine s’è svanita dai tuoi pensieri? Se è così, sorridi di pietà! O amico mio! Non credere più a niente, l’esistenza non è che fumo, l’essere e il nulla si toccano, si confondono. Eppure qualcosa mi dice che non m’hai dimenticata… Camillo! Un legame misterioso ci unisce, nonostante l’assenza, nonostante la morte. Non è l’amore, è più dell’amore. Io ho potuto sapere che stavi nelle braccia di un’altra senza che i miei sentimenti per te cambiassero. Io ho desiderato che una femmina, splendente di gioventù e di bellezza, ti facesse felice, che niente al mondo ti impedisse di possedere pienamente la vita, di amare, di essere amato: se tu avessi desiderato una donna, e questa ti fosse stata poco propizia, io credo che avrei fatto causa comune con te, mi sarei dedicata a convincerla… salvo a morire subito dopo. Ecco ciò che provavo. Adesso che la terra mi ricopre, che la mia intelligenza, libera dagli impicci, può compiacersi di sé e del nutrimento infinito; sì, anche adesso, io mi sento incompleta senza di te».
Ma… era morta?
Sì. Proprio in quell’anno 1841, non avendo ancora compiuto 34 anni. Da un paio d’anni non si scrivevano più, ma a un certo punto De La Rüe lo aveva pregato di mandarle due righe, poche parole prive di sottintesi, del tutto normali, poco più di un semplice saluto. Bisognava convincerla che lui era vivo.
Aveva creduto che fosse morto?
Le avevano recapitato un biglietto: «Il vostro amico Cavour ha cessato di vivere in un duello». Non era che una matta, tenuta segregata, era così facile farsene beffe! Letto il messaggio, aveva preso a gridare: «Chiamate De La Rüe! Non può essere vero!». In casa erano abituati, quando la sentivano urlare a quel modo i servi si davan di gomito. Venne De La Rüe e la rassicurò. Ma lei non trovò pace lo stesso. «Non credo a questo, non credo a nulla! È chiaro che mi si nasconde qualcosa!». Poi arrivò il bigliettino del conte e lei subito gli rispose per ringraziarlo.
Com’era morta?
Quando Cavour l’aveva lasciata, Nina s’era buttata nelle braccia dei genitori. Il padre ne era intenerito, le mandava delle lettere e aveva scritto persino a Camillo. Ma la madre… Pretendeva che a Nina si sbriciolasse il cuore, che ogni più piccolo ricordo di quell’uomo venisse annientato, esigeva che dell’onta non restasse traccia. La salutava appena, senza quasi girarsi dalla sua parte, tenendo le labbra diritte, emettendo una voce di testa. Nina ingoiò quasi subito del veleno.
Era morta così?
No, quella volta la salvò Lazzaro Rebizzo, accorrendo e facendola vomitare. Era il marito della Bianca che fu poi amante del Rubattino armatore di Garibaldi, poeta, avventuriero e tutto il resto… La fece vomitare. Nina rimase a letto sei mesi, non mise piede fuori di casa che dopo un anno. Ma era ormai una donna finita, senza più alcuna speranza.
Questo Rebizzo…?
Se ne dicevano tante. Cavour non voleva credere alla storia di un certo Michele Canale, noto mazziniano, che andava a trovarla regolarmente. Quella calunnia aveva tanta forza che, tornato a casa, sentì il fratello che la ripeteva, fissandolo. Rebizzo faceva l’amante-padre, rimproverandola di continuo, «riunite molte qualità: sono tali da rendervi carissima a chi vi conosce, ma non da farvi lasciar un nome immortale, né da attirarvi la universal attenzione…».
Ecco qui, invece, che di Rebizzo non si ha memoria, mentre di Nina…
Rebizzo aveva il vezzo di non leggere le lettere che gli arrivavano, così non apri la busta nella quale lei gli annunciava che di lì a poco si sarebbe tolta la vita.
Si uccise?
La notte tra il 23 e il 24 aprile aprì la finestra e guardò sotto, la Porta Nuova quasi deserta. Scavalcò quindi e, senza esitazione, si lasciò cadere. Erano undici metri e la trovarono viva. La riportarono su, la rimisero a letto. Giuseppe Gando, che l’aveva amata pazzamente, dopo quel fatto si fece prete. Carlo Pareto, quarant’anni dopo, morì con un suo ritratto sul cuore. Passarono sei giorni e il 30 aprile 1841, alle cinque del pomeriggio, spirò. I Giustiniani poi non la vollero nel loro cimitero a Voltri, né gli Schiaffino a Recco, né i Corvetto a Nervi. Sta nella Chiesa dei Cappuccini a Genova, nella cappella a destra, appena si entra.
Una storia tristissima.
Era per dirle che la giovinezza del conte era davvero finita.