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 2010  agosto 20 Venerdì calendario

CON IL DIVORZIO DA VALENTINO ROSSI PER LA FIAT FINISCE UN’EPOCA

Ormai è quasi ufficiale: la Fiat non seguirà Valentino Rossi nella sua nuova avventura in Ducati. Il sodalizio, tradotto nell’enorme logo Fiat sulla tuta Yamaha del pilota di Pesaro, è finito. E non si tratta solo del contratto in scadenza a fine anno, del passaggio del pilota alla Ducati o del difficile momento economico del settore auto. E’ la fine di un’epoca, di una certa idea del rapporto tra la Fiat e l’Italia.
Pare che la Ducati abbia già fatto conti: l’arrivo di Rossi porterà un aumento di 10 milioni di euro all’anno in sponsor, che si aggiungono ai 30 che già incassava da aziende come Tim e Philip Morris. La casa costruttrice di Bologna, quindi, sopravviverà anche senza il Lingotto. E viceversa? Per capire la rilevanza di quello che sta succedendo, bisogna tornare agli inizi della “cura Marchionne”. Il nuovo amministratore delegato del gruppo Fiat arriva a Torino nell’estate 2004. Trova un’azienda piena di debiti, senza modelli da lanciare, con marchi quasi morti come Lancia, piena di manager senza mansioni . E con un’immagine devastata da un quinquennio difficile, orfana dei suoi uomini simbolo (Gianni Agnelli muore nel 2003, Umberto pochi mesi dopo).
Oltre al risanamento finanziario e di prodotto, Sergio Marchionne capisce che serve “un’operazione simpatia”, delegata a Luca de Meo, capo del marketing e di fatto numero due del gruppo. Oggi De Meo è in Volkswagen e di quell’ “operazione simpatia” è rimasto ben poco. Eppure per circa cinque anni – dopo aver rotto i ponti con la General Motors il 14 febbraio 2005 (incassando due miliardi di dollari) – la Fiat era riuscita a ribaltare la sua immagine. Prima c’erano stati gli spot che sollecitavano un po’ di autarchia, con i costruttori giapponesi e tedeschi che ringraziavano se i consumatori italiani compravano i loro veicoli. Un po’ grido disperato e un po’ autoironia, la campagna pubblicitaria ha il risultato di spiazzare il pubblico: non c’è più la vecchia Fiat grigiamente sabauda, c’è una nuova azienda che lotta per sopravvivere. E che, se ce la farà, sarà davvero rinnovata. Poi arriva un nuovo testmionial: Fiorello che in televisione dice finalmente quello che tutti gli italiani pensavano: che la Multipla è brutta e che certe offerte a tasso zero suonano poco credibili, anche se magari poi sono vere. Altra autoironia, per sdrammatizzare le tensioni della rinascita finanziaria ma anche per dimostrare che il nuovo management è così sicuro di quello che fà da scherzarci pure sopra. Essere simpatici, però, non basta per vendere molto. E quindi De Meo e Marchionne tentano un’impresa quasi impossibile: trasformare l’azienda della Uno, della Panda, della Ritmo in un brand cool, qualcosa da avere per sentirsi al passo coi tempi e non soltanto perché il conto in banca non permette niente di meglio. Le felpe Fiat prodotte dalla Hydrogen – inventate da Lapo Elkann, che le portava sotto la giacca – dovevano essere un gadget aziendale, diventano uno status symbol. E lo stesso logo Fiat, con le lettere tondeggianti, compare sul petto di Valentino Rossi dal 2005: in molti pensano che Valentino corra su una moto Fiat, e non è del tutto sbagliato visto che il team si presenta come “Fiat-Yamaha”. “L’unione di Fiat e Yamaha è stata un successo, ma certamente molto del merito di questa operazione va a Valentino, al fatto che è un pilota italiano e un vincente”, ha spiegato Rino Drogo, responsabile promozione del marchio di Fiat Group. Due simboli di successo italiano si sovrappongono, la Fiat ne beneficia al punto che nessuno si stupisce quando, nel 2007, la nuova 500 viene lanciata con un prezzo molto superiore a quello delle altre vetture della sua categoria. Il trionfo commerciale conferma che De Meo e Marchionne avevano visto giusto: una Fiat alla moda si vende bene e con un sovrapprezzo che dà ossigeno alle casse del gruppo. Ora, di nuovo, tutto è cambiato: tentare l’avventura americana della Chrysler, di fatto acquisita a costo zero un anno e mezzo fa, ha proiettato la Fiat fuori dall’Italia. La strategia di Marchionne si è ribaltata: massima attenzione ai costi, cercando di inseguire più i finanziamenti statali che i gusti dei consumatori. Oggi dici Fiat e pensi alla desolazione di Termini Imerese, alla rabbia di Pomigliano, alla paura di Mirafiori che teme di rimanere senza auto da produrre, con la monovolume spostata in Serbia. Sui giornali e in televisione sono scomparse le pubblicità del Lingotto, Marchionne viene paragonato al nuovo Valletta e nessuno vagheggia più un suo ingresso in politica. La Fiat non cerca più di essere simpatica. E quindi non ha più bisogno di Valentino Rossi.