Elena Molinari, Avvenire 20/8/2010, 20 agosto 2010
CHE FINE HA FATTO LA MAREA NERA?
New York- Barack Obama e la sua famiglia hanno passato il fine settimana a Panama City, in Florida, da dove le tv hanno trasmesso immagini di spiagge immacolate e acque azzurre. Il messaggio del governo Usa è chiaro: il getto di petrolio dal pozzo della Bp è stato fermato, il danno è contenuto, il peggio è passato. Alle foto di Obama in costume da bagno si aggiunge infatti uno studio appena pubblicato dall’amministrazione Usa, secondo il quale tre quarti del petrolio disperso in mare è «contenuto, raccolto, bruciato, evaporato o disperso». Anche se così fosse, rimarrebbero comunque nel Golfo del Messico, al largo della Louisiana, della Florida e dell’Alabama, 200 milioni di litri di petrolio, pari a due o tre volte quello fuoriuscito dalla petroliera Exxon Valdez in Alaska nel 1989. Ma quel dato è stato messo in serio dubbio da almeno due studi indipendenti, cerando una ridda di numeri in mezzo ai quali l’opinione pubblica americana, e in particolare gli abitanti del Golfo, fatica a orientarsi. Per questo ieri la sottocommissione per l’energia e l’ambiente della Camera Usa ha avviato una serie di audizioni, nel tentativo di rispondere alle domande che né la Bp né Washington hanno saputo chiarire con certezza: quanto petrolio è uscito dal pozzo danneggiato? Quanto resta ancora nell’oceano? E quanto è contaminato il pesce pescato nel Golfo del Messico?
Fra gli esperti convocati a Washington ci sono i ricercatori dell’Università della Georgia, giunti alla conclusione che l’80% del greggio sfuggito dal pozzo Macondo dal 20 aprile permea ancora le acque del Golfo e ne sta uccidendo i micro-organismi, mettendo in pericolo la catena alimentare dell’ecosistema marino.
Una seconda ricerca presa in esame a partire da ieri dal Congresso è quella dell’Università del sud Florida, che sostiene che gli agenti chimici usati per «rompere» le molecole di petrolio e disperderle nell’acqua hanno spinto il greggio sul fondo dell’oceano, compromettendo l’esistenza del plancton. «Solo il 10% del petrolio disperso è stato effettivamente rimosso dall’oceano in modo meccanico – ha testimoniato Ian MacDonald, esperto oceanografico dell’Università – e il livello di ossigeno misurato nelle acque del Golfo non è coerente con un’elevata attività di eliminazione naturale del petrolio da parte di microbi mangia-petrolio». MacDonald è giunto a queste conclusioni sia esaminande centinaia di campioni di acqua, sia osservando immagini satellitari dell’area.
Ma il capo dell’agenzia governativa Usa per gli oceani e l’atmosfera (Noaa), Jane Lubchenco, ha ribadito di fronte ai deputati della commissione che «noi rimaniamo convinti dei nostri dati».