Roberta Amoruso, Il Messaggero 20/8/2010, 20 agosto 2010
LA CAPITALE SOTTO MONTAGNE DI CARTE E DEBITI DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE
Caro imprenditore, meglio andare in Ruanda se vuoi avere vita più facile. Oppure alle Bahamas. O in Montenegro, Turchia, Tunisia, Polonia. Perfino in Jamaica e a Panama. Dice l’ultima classifica della Banca mondiale sulla facilità di fare impresa. In realtà, fa sapere la Confartigianato, basterebbe andare a Ravenna o a Rimini per un imprenditore romano che non ci sta a sopportare il fardello della burocrazia della Capitale. Già. Perché peggio di Roma, in Italia c’è solo Catanzaro. La burocrazia della Capitale è di quelle che soffocano di più le imprese. Soprattutto le piccole.E non c’è da stare allegri, appunto, se il confronto è fatto tra 103 province di un Paese fotografato al 78° posto nella classifica mondiale sulla facilità di fare impresa. È così nel Paese dove le imprese arrivano ad aspettare anche 600 giorni per il pagamento di una fattura della pubblica amministrazione. E dove per poter costruire un magazzino o un piccolo capannone industriale sono necessari in media 257 giorni, una procedura fra le più lunghe e complicate del mondo occidentale.
Un conto salato per le imprese. Ancora più inaccettabile per chi più di altri deve fare i conti con carte e balzelli, sopravvivere sotto una montagna di carta e non rischiare di far saltare i conti per i ritardi dei pagamenti della pubblica amministrazione. Comune e Regione Lazio in testa. Senza contare una crisi del credito che non rende vita facile ai piccoli imprenditori. Che fanno fatica anche a imboccare la strada di un lungo contenzioso legale per recuperare il credito.
Così si scopre che Alessandro Maruffi, romano, da 40 anni nel settore dell’edilizia, deve ritenersi fortunato se si trova nel cassetto fatture non pagate dalle amministrazioni locali datate luglio 2009. Solo un anno di ritardo. In nome del patto di stabilità. Quando sono in molti a lamentare ritardi anche di due anni, fa sapere Lorenzo Tagliavanti, direttore della Cna (artigiani) di Roma.
Si capisce, così, quanta responsabilità ha la pubblica amministrazione sulla gravità della situazione romana (la Regione Lazio è il terzo bilancio dello Stato). Ma non funziona così ovunque, commenta Walter Giammaria, presidente della Confesercenti di Roma: «La Camera di Commercio della Capitale paga i suoi fornitori a 30 giorni». Si può fare.
«Per non parlare della montagna di documenti necessari prima di aprire un cantiere», aggiunge Tagliavanti. Le normative sono più o meno sempre quelle, salvo gli aggiornamenti del caso. Si sono aggiunte adempienze più stringenti sul fronte sicurezza, questo si sà. Ma per ogni lavoro aperto, per ogni appalto «eccoci di nuovo a riprodurre gli stessi certificati, credenziali, garanzie». Certificati della Camera di Commercio, carte penali. Documenti sulla regolarità dei contributi. E molti altri. Spesso ripetitivi. Ma indispensabili per ottenere il famoso certificato Soa, una specie di patente per accedere agli appalti pubblici. Partita chiusa? «Per niente. Molte carte dovranno essere riprodotte al momento del contratto». E allora perché non studiare un modo per raccogliere le credenziali e i requisiti di un’azienda una volta per tutte?», si chiede l’imprenditore romano. I tempi di avvio di un’impresa, per lui, sono una storia troppo lontana. Ma i giovani «parlano di mesi». Da nessuna parte è così all’estero.
I giovani appunto. Per aprire un’agriturismo (a Roma come mediamente in altre province, per la verità), ci vogliono due anni e mezzo, dicono alla Coldiretti giovani. Soltanto l’apertura della partita Iva e l’iscrizione al registro delle imprese e all’Inps portano via 13 giorni. I bandi dei Piani di sviluppo rurale (Psr) per l’insediamento dei giovani in agricoltura escono dopo 120 giorni dall’approvazione dei Psr stessi. Allora si può presentare la domanda. Che, però, impiega 60 giorni per essere recepita. Più altri 260 per chiudere l’istruttoria. Il decreto che dà il via libera materiale alle misure per l’insediamento dei giovani arriva dopo circa un anno. E altri 90 giorni serviranno per accedere al credito. In totale fanno circa due anni e mezzo per poter avviare l’attività. Ma non è finita. Perché per ultimare gli investimenti saranno necessari almeno altri 18 mesi. Quattro anni per entrare a regime. Praticamente il tempo di una laurea.
Ma se gli italiani sono più o meno abituati alla battaglia delle carte e ai tempi biblici, gli stranieri, no. Ne sa qualcosa Sebastian Escarrer, vice presidente della catena spagnola Sol Melia. Per aprire un albergo a Milano e poi a Roma «bisogna fare cinque o sei volte le stesse procedure presso enti diversi. E poi attendere tempi interminabili per le autorizzazioni o per l’agibilità degli edifici». Troppo tempo e troppi intoppi. Anche per chi deve superare i vincoli della Sovrintendenza artistica sui palazzi antichi, nel caso di Roma. Escarrer non si fermerà qui. Ha piani anche in Sicilia. Ma «se le regole fossero più snelle», ammette, «avremmo investito di più». E prima o poi dovrà tenere conto anche di questo, oltre al costo per le imprese, il Paese in cui ci vogliono 76 pratiche per aprire un’officina meccanica, 71 per un ristorante e 68 per una lavanderia.