Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 20 Venerdì calendario

FURONO GLI AUTORI VITTORIANI A INVENTARE GLI «SMS»

Contrordine puristi, non è tutta colpa degli sms. Se già nell’800 c’era chi bistrattava l’idioma di Shakespeare con frasi come «I wrote 2 U B 4» («I wrote to you before», ti ho scritto prima) forse il degrado della lingua, materia di tanti allarmi, non è colpa delle nuove tecnologie che costringono alla semplificazione estrema creando una sorta di analfabetismo di ritorno. Certo, in quel caso non si parlava di degrado ma di poesia, anzi «poesia embematica», vero e proprio genere praticato dai poeti vittoriani, come quello esperito nel 1867 da Charles C. Bombaugh dove 80 miglia, eighty miles, diventa «A T miles», la testa vuota, empty head, si scrive «M T head», l’essay (saggio) si contrae in «S A» e l’Arcadia diventa un’improbabile «R K D A».
L’invito a riflettere su corsi e ricorsi, splendori e cadute della lingua scritta viene da una mostra su cui la British Library ha investito molto e che si potrà vedere dal 12 novembre al 3 aprile 2011. «C’è sempre un grande interesse intorno alle lingue — ha raccontato al "Guardian" il curatore Roger Walshe — e il dibattito su che cosa influenzi il linguaggio è sempre molto vivace. Abbiamo pensato di aver tutte le carte in regola per affrontare la questione e offrire una prospettiva storica».

Gli esperti della biblioteca hanno lavorato al progetto oltre tre anni e infatti saranno esposti veri e propri tesori come la più antica copia superstite del poema epico Beowulf o il primo libro stampato in lingua inglese, pubblicato nelle Fiandre da William Caxton intorno al 1473, o ancora una copia del Proposal for Correcting, Improving and Ascertaining the English Tongue di Jonathan Swift (1712) dove lo scrittore sosteneva che l’inglese fosse un «caos» e che lo Stato dovesse incaricare un gruppo di «saggi» di rimetterlo a posto e custodirlo, insomma una sorta di Accademia della Crusca, o Académie Française che la Gran Bretagna non ha avuto e che ha lasciato la lingua aperta a contaminazioni. Come dimostra un libro di cucina scritto nell’inglese parlato in Papua Nuova Guinea dove «Cut a little tomato, put in a large saucepan, put in a onion, water, pepper and salt» (Affettate un piccolo pomodoro, mettetelo in un grosso tegame con cipolla, acqua pepe e sale) diventa: «Katim tamato likki, putim long sospan, putim anian, wara, pepa na sol».

La mostra mette sotto osservazione anche una delle scrittrici più amate in Inghilterra: Jane Austen. Verranno esposti due capitoli manoscritti di Persuasione dove appare evidente che la Austen non usava molto la punteggiatura, ma soprattutto dei trattini che legavano tra loro un intrico di subordinate tale da far sembrare il romanzo quasi un racconto orale («ci sono anche delle virgole — ha detto al "Times" Roger Walshe — ma mai nel posto giusto»). Uno stile che i lettori non conoscono perché i libri prevedono al contrario un uso preciso di virgole e punti, opera probabilmente dei suoi editor. Persuasione uscì cinque mesi dopo la morte della scrittrice e i manoscritti dei libri precedenti non sono stati conservati. Difficile dunque capire se questa fosse una sorta di sperimentazione o semplicemente la Austen pre-editing. Certo, il celebre incipit di Orgoglio e pregiudizio: «It is a truth universally acknowledged, that a single man in possession of a good fortune, must be in want of a wife» («È una verità universalmente riconosciuta che un uomo scapolo in possesso di una vasta fortuna debba essere alla ricerca di una moglie») forse poteva stare anche senza virgole.