Claudio Gatti, Il Sole 24 Ore 20/8/2010;, 20 agosto 2010
IRAQ ADDIO, FINISCE LA GUERRA DEI 7 ANNI
«Missione compiuta». Era il 1? maggio 2003 quando l’allora presidente George W. Bush atterrava sulla portaerei USS Abraham Lincoln, addobbata per l’occasione con un enorme striscione con quelle due parole.
Sette anni e 110 giorni dopo non ci sono ancora le condizioni perché il presidente Barack Obama possa ripeterle. Ma può dire di aver mantenuto il proprio impegno elettorale a ritirare le truppe da combattimento dall’Iraq.Con quasi due settimane di anticipo sul programma.
Nelle prime ore di giovedì mattina,l’ultima compagnia della Quarta Brigata Stryker della Seconda divisione di fanteria ha attraversato il confine tra Iraq e Kuwait. Lasciando dietro "soltanto" i 50mila colleghi delle sei brigate di assistenza.
«La storica fine di sette anni di guerra» è stato il titolo del Washington Post di ieri. Ma probabilmente è più esatto quello scelto dal giornale dell’esercito Usa, Star and Stripes, che ha invece parlato di «Lungo arrivederci ». Sottolineando i molti «problemi irrisolti» e i costi umani ed economici di questi ultimi sette anni in Iraq.
Oltre 4.400 soldati Usa e 113mila iracheni sono stati uccisi. Quasi 750 miliardi di dollari sono stati spesi nelle operazioni militari. Ma il costo complessivo, tenendo conto dell’impatto sull’economia Usa, è stimato attorno ai tremila miliardi. E tra oggi e il 31 dicembre, gli Usa dovranno spendere altri 12,75 miliardi per mantenere le 50mila truppe che rimarranno, distribuite su 94 basi nei punti nevralgici del paese.
Cifre a parte, quello che conta politicamente è la percezione dell’opinione pubblica.E su questo fronte Obama può dire che da oggi quella in Iraq non è più una guerra americana. Il che non vuol dire che l’amministrazione potrà lasciare Baghdad in balia di sé stessa. O peggio dei suoi litigiosi e ingombranti vicini. Al di là delle percezioni, la realtà dimostra che gli Usa stanno facendo il contrario. I 14mila soldati evacuati in questi giorni saranno sostituiti da almeno 7mila addetti privati, che ieri il New York Times ha definito «un piccolo esercito di contractor ». Costoro si faranno carico di molti dei 1.200 compiti diversi avuti finora dalla Quarta Brigata Stryker e dalle altre truppe che sono partite.A parte l’addrestramento di polizia e militari, gestiranno i sistemi radar, i droni da ricognizione, e saranno anche pronti a intervenire in caso di attentati contro i civili.
Lo stesso Dipartimento di Stato sarà costretto ad assumere ruoli militari come mai prima. Si sta parlando anche dell’acquisto dal Pentagono di 60 veicoli chiamati in codice "anti-mine e anti-agguato", 1.320 auto blindate, 29 elicotteri e 3 aerei. L’ex ambasciatore James Dobbins, che nelle sue vesti di assistente speciale del presidente ha gestito crisi nei Balcani, in Afghanistan, in Somalia e ad Haiti, lo ha definito «uno sforzo civile su una scala senza precedenti».
Il motivo è evidente: l’amministrazione Obama è consapevole della volatilità della situazione interna irachena e degli enormi rischi che il paese imploda. La speranza è che l’innesto di questo esercito di contractor possa impedire che ciò accada. A parte le tensioni tra maggioranza shiita al sud e minoranza sunniti al centro-nord, in cima alle preoccupazioni americane sono i rapporti con gli autonomisti/ indipendisti curdi. Fino a oggi, il generale Ray Odierno ha potuto contare sui numeorsi checkpoint congiunti composti da truppe Usa,militaridell’esercito iracheno e combattenti peshmerga curdi. Ma senza la presenza degli americani nessuno si sente di garantire che le due forze militari locali continueranno a cooperare.
Come sostiene l’ex ambasciatore Usa in Iraq Ryan Crocker, «ci vuole pazienza strategica. Perché la nostra tempistica politico- militare è più veloce della realtà irachena».
Molti perciò si aspettano che, quando si riuscirà a formare, il prossimo governo di Baghdad chiederà a Washington di rivedere gli accordi che prevedono il ritiro di tutte le truppe Usa entro il 31 dicembre 2011.