Pietro Citati, la Repubblica 20/8/2010, 20 agosto 2010
ELISABETH ALLA CONQUISTA DEL MONDO
La casa editrice Einaudi ha appena pubblicato un volume di Linda Colley, una notissima storica inglese: L´Odissea di Elisabeth Marsh (traduzione di Barbara Placido, pagg. XXII-349, euro 22). È uno dei libri di storia più belli e divertenti che abbia letto negli ultimi anni. La Colley racconta molti tra i più importanti e meno conosciuti eventi del diciottesimo secolo: il traffico degli schiavi, la coltivazione di zucchero nella Giamaica, Portsmouth attorno al 1750, la Compagnia delle Indie orientali, l´emigrazione nell´America del nord, i pirati marocchini, il commercio del cotone nel Bengala, la vita degli occidentali in India. Vi insinua la voce di un´instancabile viaggiatrice, Elisabeth Marsh; e le storie, per mare e in terra, della sua numerosa parentela. Tutti questi eventi e personaggi sono messi in rapporto tra loro: risuonano gli uni negli altri: siamo a Boston e subito ci ritroviamo in India: vite individuali e grandi eventi si intrecciano; così che l´esistenza di un donna avventurosa si fonde con la storia - oggi diremmo globale - del mondo.
Il padre di Elisabeth, Milbourne Marsh, faceva il carpentiere sulla nave Kingston, che doveva impedire il contrabbando dello zucchero della Giamaica, e gli assalti degli spagnoli alle navi mercantili inglesi. Era un uomo robusto, abile e capace. Scese per la prima volta a Port-Royal, la popolosa capitale della Giamaica, nel luglio 1732. Lì conobbe Elisabeth Bouchier, probabilmente una mulatta, che sposò nel dicembre 1734. Qualche mese dopo, ripartì per l´Inghilterra: la moglie era incinta di sei mesi; e passava le giornate sul ponte della Kingston. Nell´agosto 1735, Milbourne Marsh e la moglie giunsero a Portsmouth: un mese dopo nacque Elisabeth Marsh, l´eroina del nostro libro. Il racconto comincia con questo odore intensissimo di mare, di porti, di zucchero, di rum, di arsenali, e di lavori incessanti di carpentieri e di marinai.
A Portsmouth, Milbourne Marsh, la moglie e la giovane figlia, che forse ricordava nella pelle i colori della Giamaica, rimasero diciannove anni. Allora Portsmouth aveva una straordinaria importanza: era il cuore della Royal Navy e della Compagnia delle Indie orientali. C´era movimento, attività, irrequietezza, commercio internazionale, crimine organizzato, continuo passaggio di stranieri. Vi era il porto: magazzini specializzati, depositi di corde, di alberi, di attrezzature navali, di merci; e tutto era avvolto dal fumo delle fornaci.
Elisabeth Marsh vi ebbe la sua prima educazione: imparò il francese, l´aritmetica e la contabilità, la musica e il canto; aveva una cultura come pochissime donne dell´epoca, e si muoveva con disinvoltura nel mondo complicatissimo dei commerci marini. Il mare era la strada più facile per conquistare la ricchezza.
Dopo diciannove anni, ritroviamo Elisabeth Marsh a Minorca, dove il padre era stato nominato ufficiale navale. Vi rimase poco: nel 1756 salì su una piccola nave, sola a dispetto dei genitori, per tornare in Inghilterra, dove la attendeva un ricco matrimonio. Non aveva paura di niente: nemmeno dei corsari marocchini, che catturarono la sua nave nell´Oceano Atlantico. Venne condotta in Marocco, a Marrakech, dove il sultano Sidi Muhammad aspirava a diventare Califfo d´Occidente, e intratteneva rapporti con le potenze occidentali. «Un uomo - disse l´ambasciatore britannico - di straordinario talento e intelligenza, molto amato dai suoi sudditi». La giovane Elisabeth Marsh, così coraggiosa, colta e intelligente, attrasse la sua attenzione, sebbene fosse «troppo magra»: forse pensò di rinchiuderla nel suo harem; ma Elisabeth insisté a lungo, nel libro che anni dopo dedicò alla sua avventura, che «non era mai divenuta schiava». Infine il sultano le permise di tornare a casa, in cambio di un contratto commerciale con l´Inghilterra. Malgrado le sue inquietudini e le angosce, nel dicembre 1756 o nel gennaio 1757 Elisabeth sposò un suo compagno di prigionia, James Crisp.
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James Crisp era un mercante avidissimo, che possedeva una fantasia avventurosa e romanzesca. Non aveva una patria: tutti i luoghi dove faceva affari erano la sua patria: conosceva molte lingue; e la rete dei suoi interessi commerciali giungeva fino all´Europa settentrionale e meridionale, all´Africa, all´Asia e alle Americhe britanniche e spagnole. Le sue navi navigavano cariche di vino tra Madeira, Boston e la Giamaica, per tornare cariche di zucchero, rum e zenzero.
Attraverso il porto di Amburgo, partecipava al commercio con i paesi del Baltico e la Russia. Attraverso Livorno, e i banchieri ebrei di Livorno, trafficava con l´Africa del nord e il Levante, controllando le vendite di gioielli, coralli e granaglie nel Mediterraneo. Vendeva pesce pescato alle isole Shetland, e non disdegnava il contrabbando e la tratta degli schiavi. Infine l´isola di Man, neutrale e senza dazi, gli permetteva di traghettare merci spagnole durante la guerra dei Sette Anni, che vide nemiche Spagna e Gran Bretagna. Così James ed Elisabeth Crisp fecero fortuna rapidamente e la mantennero a lungo. Vivevano a Londra nei piaceri e nel lusso, imitando «lo stile di vita e le spese di persone ricchissime», come li accusava il sobrio zio George Marsh.
Contro questa ricchezza, imperniata sulla più sfrenata libertà di commercio, intervennero le leggi della Gran Bretagna e degli Stati europei. Malgrado la loro immaginazione, i grandi mercanti internazionali vennero spesso sconfitti. Nel 1765, il Parlamento britannico restituì la sovranità dell´isola di Man alla Corona inglese, assoggettadola ai consueti tributi doganali. La libera attività di Crisp nelle Shetland e nel Mediterraneo fu ugualmente colpita. Egli era noto in ogni paese per la sua puntualità e precisione nei pagamenti. Ma, già nel 1767, mancava di denaro liquido. Poi fece bancarotta. E, nel gennaio 1769, salpò da Londra, senza moglie e figli, verso la costa orientale dell´India. A trentatré anni, Elisabeth Marsh rimase sola con due figli di nemmeno sette anni, senza casa, senza danaro e senza un lavoro di qualsiasi genere.
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Nell´agosto 1770, Elisabeth Marsh lasciò l´Inghilterra con la figlia, per raggiungere il marito in India. Viaggiò sulla Dolphin, un velocissimo vascello a tre alberi della Royal Navy: era incerta, inquieta; ma quando era in viaggio si sentiva a casa. Senza timore, subì tremende tempeste, che costrinsero la nave a deviare dalla rotta, ormeggiando a Rio de Janeiro. Il 20 febbraio 1771, era a Madras. Intanto il marito aveva ripreso il suo fantasioso cammino verso la ricchezza. La Compagnia delle Indie orientali lo nominò agente del sale, merce allora preziosissima, a Dhaka, in Bengala. A Dhaka prosperava la produzione del cotone, che Crisp esportava in Asia occidentale, centrale e sud-orientale, in Africa, nell´Impero ottomano e in Europa, e poi riesportava nel Nordamerica, nei Caraibi e in America latina: la rete del commercio internazionale si stringeva, sempre più fitta e compatta, attorno al mondo. Crisp rifece rapidamente la sua fortuna e la sua reputazione, Vivere a Dhaka costava pochissimo: i Crisp ripresero il loro ricco tenore di vita; e conobbero un paesaggio, un clima, una fama, una psicologia, una cucina e una religione, che avevano completamente ignorato.
Malgrado la rinnovata fortuna, Elisabeth Marsh non era felice. Viveva quasi sola: a Dhaka c´erano cinquanta europei, tra i quali tre donne sposate, che Elisabeth vedeva di rado. Forse non sopportava il marito. Certo, conosceva una condizione di acuta nevrosi e di depressione. «Il mio pessimo stato di salute - scrisse sul diario - m´impose di mettermi in viaggio verso la costa». Fu un viaggio lunghissimo, che intraprese con il coraggio e la fantasia che le erano abituali. Lasciò Dhaka il 13 dicembre 1774, e vi ritornò diciotto mesi dopo, attraversando la terra e il mare. Era accompagnata da un seguito di quaranta soldati, guide e servi indigeni, di solito riservato alle persone di grande ricchezza; e dal capitano George Smith, «suo cugino», con il quale convisse per molti mesi. Di rado andava a letto prima delle due di mattina: la notte danzava, beveva madeira, mangiava ostriche; ed era lieta del suo successo mondano. «Il mio tavolo da tè - diceva - era il punto d´incontro di tutte le persone ragguardevoli e di buona educazione ed era affollato ogni sera». Con dolore e commozione, lasciò George Smith alle cinque di mattina del 13 giugno 1776. Non aveva voglia di tornare a casa; e rimase ancora sei settimane presso un´amica di Calcutta, prima di ragiungere Dhaka.
Tutto stava di nuovo precipitando. Nel marzo 1777 la Compagnia delle Indie tolse ogni emolumento a James Crisp: mentre il commercio del cotone nel Bengala si dimezzò rapidamente di valore. Crisp era «distrutto nel corpo e nello spirito», e morì nel novembre 1779. Ciò che possedeva - i ventagli di pavone, i completi di seta, le camicie a balze, l´orologio d´oro con la catena, la scatola di toilette completa di rasoi e portasapone - fu venduto all´asta nel marzo 1780.
Prima della catastrofe definitiva, Elisabeth Marsh aveva abbandonato il marito: salpò da Calcutta alla fine del 1777, e raggiunse Portsmouth, dove trovò il padre ancora in vita. Tornò a Madras nel giugno 1780, sette mesi dopo la morte del marito. Era quasi in miseria. Nell´agosto 1783 si accorse di avere un cancro al seno, e si fece operare a Calcutta da un medico europeo. L´operazione fu terribile: senza anestesia, legata a una sedia, con il braccio alzato a forza, il chirurgo seduto a cavallo sulle sue ginocchia, la carne e le ghiandole tagliate e strappate, la ferita cauterizzata col ferro rovente. Malgrado il caldo di Calcutta, Elisabeth Marsh sopravvisse qualche mese, fino all´aprile 1785. Sull´epitaffio, il figlio ricordò la sua forza d´animo «di fronte a una delle più terribili operazioni chirurgiche». Forse Elisabeth avrebbe voluto che l´epitaffio ricordasse anche altre cose: i viaggi, gli scritti, l´ammirazione del sultano del Marocco, i lussi di Londra, le lunghe peregrinazioni nell´India, le danze, i vini e le conversazioni nella notte, insieme a George Smith.