Paolo Rumiz, la Repubblica 20/8/2010, 20 agosto 2010
Puntata n.17 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) PEPPINEDDU E IL MITO PERENNE - In una casa piena di flauti Sergio Bonanzinga, candida barbetta da fauno, mi offre con sua moglie un piatto di "piridda" e "cirasa" con dei cubetti di ghiaccio, poi mi mostra un video stupefacente
Puntata n.17 - Camicie Rosse (Sotto: indice della rubrica) PEPPINEDDU E IL MITO PERENNE - In una casa piena di flauti Sergio Bonanzinga, candida barbetta da fauno, mi offre con sua moglie un piatto di "piridda" e "cirasa" con dei cubetti di ghiaccio, poi mi mostra un video stupefacente. Etnomusicologo e buongustaio, il professore ferma l´immagine su una folla di fedeli che reggono sulle spalle le statue gigantesche dei santi guaritori Cosma e Damiano e le fanno ballare fino allo sfinimento, e ciò al suono, pensate, dell´inno dei Bersaglieri. Sì, quello cui il popolo aggiunse le parole di "Garibaldi fu ferito". Sedici folgoranti battute in tempo "due quarti". Teatro dell´azione Sferracavallo, frazione marinara di Palermo. Da una parte la banda paonazza con gli ottoni stravolti, dall´altra i portatori con le spalle insanguinate dalle travi. È una sfida a chi cede per ultimo, e vince ovviamente la banda; i portatori annaspano, cedono, crollano, fanno sbandare paurosamente le statue, le donne e i parenti urlano, li implorano di mollare, poi è la resa, il trionfo della banda garibaldina, che però tira le cuoia pochi secondi dopo. Nella sera color pesca, in shorts e babbucce, il prof accenna al motivo alla chitarra. «Ah, il generale si sarebbe divertito». Dio solo sa come faccia il mito garibaldino a tenere in Sicilia, nonostante il "dispitto" di un´unificazione senza giustizia. Alle terre del Sud hanno inflitto di tutto: "naja" (fino a sette anni) che prima non esisteva, feroce tassa sul macinato, mancata distribuzione delle terre demaniali. Per non dire della volatile cartamoneta, rifilata al posto dei sonanti "tarì" di era borbonica. «E biniditti l´antichi rrignanti ca tinìanu li populi contenti», dice un canto popolare. I denari dei regnanti antichi «suonavan veramente / e col suono richiamavano la gente. / Ora si chiama moneta volante / lacera, tutta sporca e senza suono... «. In mezzo a queste delusioni, Garibaldi tiene. Magari bestemmiato, ma tiene. Il motivo è che ha acceso la speranza. "Caribardo" è un vincitore sconfitto dai "rrapaturi", i rapinatori; ed è stato ferito all´Aspromonte dai soldati dello stesso re che l´ha spinto all´avventura siciliana. Qui "Peppineddu" è forte come Orlando e Rinaldo dei pupi; ed è biondo come Gesù salvatore, tradito dal sinedrio. È con l´icona di Garibaldi che la sinistra vince in Sicilia nel 1948, contro le madonne pellegrine mobilitate dalla Dc. «Veni ´Aribaldi e la so´ cumpagnia - cantava la gente - cu li so´ piani e la so´ valintìa, lu ´nfernu l´ha riduttu un paradisu». Ma il meglio arriva l´indomani, sui monti che incombono sulla costa tra fumo di incendi e odore amaro delle stoppie bruciate. Lassù c´è Mezzoiuso, ex Manzil el Yusuf (il "Casale di Giuseppe"), dove a carnevale si gioca una rappresentazione unica del mito garibaldino. C´è un contadino (detto "Mastro di campo", figura medievale) che aspira alla moglie del re, ma questi al primo confronto lo uccide. Ed ecco arrivare chi? Garibaldi a cavallo, che risuscita il morto e dà l´assalto vittorioso alla scala della reggia, nel tifo da stadio dell´intero paese. Ma dopo Mezzoiuso ecco Caltavuturo, raggiunto per una strada da rallie, tra volo di falchetti, a quota 600 sul fiume greco Imera. A Palermo non c´è spazio per i teatrini, la politica se ne fotte dei pupi, patrimonio mondiale dell´umanità: e così per lavorare il puparo Angelo Sicilia ha dovuto andare in montagna, come i partigiani. Quassù ha portato tutte le sue cose. Anche i pupi di Garibaldi e Cesare Abba con cui a Marsala ha rappresentato lo sbarco dei Mille. Dopo un cinquantennio di devastazione della memoria nazionale, è la prima volta che si tenta di fare qualcosa di nuovo sul tema. «Garibaldi infiammò la fantasia popolare, generò migliaia di pupi e decorazioni di carretti siciliani, ma poi molto si è perso». Racconta Angelo, dietro le quinte del suo teatrino: «I pupi sono stati un formidabile strumento di alfabetizzazione di massa, ed è ora che tornino ad esserlo». Per questo il puparo che porta lo stesso nome della sua isola ha costruito rappresentazioni anche sull´antimafia e ora ne sta preparando altre sui partigiani siciliani, tanti e sconosciuti, che si batterono per liberare il Nord. Di nuovo Palermo, sera di gelsomini, ristorante dalle parti della Vucciria. Spaghetti ai ricci di mare in compagnia di statue barocche, tra profumo di bouganvillee e cumuli di immondizia. In bilico su un marciapiede, siamo serviti da un "caruso" che spinge la sua bravura tra i tavoli fino al gioco dell´arroganza. Qui tutto è rappresentazione. Tutto è linguaggio. Il modo in cui ti versano il vino o ti aggiustano il piatto, l´andatura delle donne. Che trappola, Palermo. Per un attimo mi chiedo come abbia fatto G. a liberarsi dalle tentazioni di questo luogo, e fare l´Italia. Un esempio? Quando il generale prende la città, viene sommerso da delizie. Canditi, cannolicchi, granite, cotognate, buccellati, bocche di dama, babbà e via di seguito. Ma il bello è che i doni più ricchi arrivano dalle monache, la cui fantasia si è accesa per la bionda figura nazarena del condottiero. Il tutto è accompagnato da letterine pie, ma anche un filino erotiche, del tipo "A te, eroe e cavaliere come San Giorgio, bello e dolce come un serafino, le nostre monache t´amano teneramente". Riconoscente, "Peppineddu" va in visita a un monastero, ma viene travolto dall´entusiasmo delle pie donne, che sono pure giovani, belle e di buona famiglia. Alberto Mario descrive la scena: «Le tosate vergini gli si affollarono intorno ansiose e commosse... Come somiglia a nostro Signore! sussurrò una di loro all´orecchio della vicina. Un´altra gli prese la mano per baciargliela; egli la ritrasse, ed ella, abbracciandolo vivamente, gli depose quel bacio sulla bocca. La coraggiosa trovò imitatrici le compagne giovinette, indi le più mature, e finalmente anche la badessa, a tutta prima scandalizzata. E noi si stava a guardare!». L´indomani vado a vedere la chiesa di San Domenico, nelle cui cripte son conservate le ossa di alcuni degli uomini più illustri di Sicilia, inclusi dei garibaldini come Francesco Crispi, Rosolini Pilo e Luigi Tukory. Manca Giovanni Corrao, che (mi hanno spiegato nella vicina Società di storia patria) non fu ammesso al pantheon in quanto massone impenitente e anticlericale. Butto subito un´esca al reverendo padre dal saio bianco-latte, che mi porta in giro per le cappelle laterali. «E il povero Corrao? L´hanno escluso perché massone?». Ghigna la tonaca: «ebbè, e gli altri che erano?». Dopo un attimo di silenzio, prendo coraggio: «padre, e le monachelle che baciarono Garibaldi sulla bocca, quelle che erano?». «Idde? Buttane sono», risponde senza esitare, coniugando un tempo presente inquietante, con lo sguardo in bilico tra ira e ironia. Buttane, con la «b» spregiativa di Camilleri, stampato ben chiaro nel silenzio della navata. Poi se ne ritorna ciabattando in sacrestia. Indice della rubrica: 1386028 (n.1) 1386029 (n.2); 1386030 (n.3); 1386031 (n.4); 1386033 (n.5); 1386035 (n.6); 1386036 (n.7); 1386040 (n.8); 1386041 (n.9); 1386038 (n.10); 1386037 (n.11); 1386042 (n.12); 1386039 (n.13); 1386068 (n.14); 1386262 (n.15); 1386262 (n.16); 1386497 (n.17); 1386934 (n.18); 1386957 (n.19); 1387466 (n.20); 1387090 (n.21); 1387252 (n.22)