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 2010  agosto 20 Venerdì calendario

FACEBOOK E GLI ALTRI, FIGLI CANNIBALI CHE STANNO UCCIDENDO IL WEB

La morte del Web? Nel momento in cui gli utenti della Rete superano il miliardo e crescono a ritmo vertiginoso sembra il titolo di un film di fantascienza. Eppure a lanciare la provocazione è «Wired», la rivista cult degli smanettoni, nell’editoriale dell’ultimo numero, firmato da Chris Anderson e Michael Wolff (si tratta di due articoli affiancati che tracciano scenari convergenti ancorché leggermente diversi). Attenzione però, ciò di cui si annuncia la fine non è Internet, bensì il Web in quanto «applicazione»: quell’insieme di tecnologie — dai software di navigazione ai motori di ricerca — che, dall’inizio degli Anni 90, hanno consentito a milioni di utenti privi di competenze tecnologiche di «navigare» in quell’immane deposito di informazioni che è la Rete — il «luogo» che ha alimentato le utopie della democrazia digitale, del libero accesso al sapere, di una grande comunità cosmopolita di pari.


Perché tutto ciò sarebbe finito? La risposta è nei numeri: nel 2001 i primi dieci siti monopolizzavano il 31% delle pagine viste, nel 2010 siamo al 75%. È vero che sempre di siti si parla, ma alcuni di essi — come Facebook e iTunes — sono, in realtà, applicazioni alternative al Web, piattaforme «chiuse» che monopolizzano il tempo di connessione di milioni di utenti, mondi privati (l’Economist ha paragonato Facebook a una impresa/nazione abitata da 500 milioni di clienti/cittadini) che prefigurano il ritorno di modelli di business più simili a quelli dei «vecchi» media broadcast che al mondo anarchico dei contenuti gratuiti e «autoprodotti».

Anderson e Wolff dissentono solo su un punto: il primo dice che a uccidere l’utopia siamo stati noi utenti, pronti a rinunciare a una libertà gratuita ma rischiosa in cambio di sicurezza e qualità (a pagamento); Wolff punta invece il dito contro Jobs, Zuckerberg e tutti quegli imprenditori che hanno lavorato per importare la vecchia logica monopolistica in Rete. Qualunque sia l’interpretazione giusta, il dato di fatto non cambia, e l’annuncio di «Wired» riconosce la correttezza di ciò che i critici scettici dell’utopia internettiana vanno predicando da anni: economia del dono ed economia di mercato non possono convivere a lungo.