Bruno Quaranta, La Stampa 20/8/2010, 20 agosto 2010
Tags : Anno 1901. Raggruppati per paesi. Francia
Sì, è vero, in Harry a pezzi Woody Allen non lesina l’insofferenza verso Proust: «Sa, io vado a puttane
Sì, è vero, in Harry a pezzi Woody Allen non lesina l’insofferenza verso Proust: «Sa, io vado a puttane... così non devo parlare di politica, di film, di Proust; quindi siamo felici e clienti». Ma tra un ciak lungo la Senna e una ripresa nell’hemingwayana rue Mouffetard il regista di Midnight in Paris potrebbe cambiare parere, almeno un po’, scoprendo se stesso in una petite phrase di Marcel: «Si può considerare a lungo una cosa idiota senza che per questo si trovi la forza di fuggirla». Si possono spiegare anche così «crimini e misfatti», gli atti che l’intelligenza respinge e che la volontà non sa disarcionare. L’affinità elettiva Woody-Marcel pulsa in una pagina di Proust, fra i 160 documenti (86 lettere, una trentina inedite, 5 manoscritti, 5 disegni) intorno a cui ruota la mostra «Du temps perdu au temps retrouvé» che in boulevard Saint-Germain tiene a battesimo il restaurato Musée des Lettres et des Manuscrits. «Proustez-vous bien!» augurerebbe ai visitatori Sutherland, come era solito rivolgersi alla moglie e a Giorgio Soavi, irriducibilmente vocati a intingere le madeleines nella tazza di tè. Subito cogliendo - i proustiani di questo agosto (la mostra si conclude il 29) - una felice coincidenza: il Musée sorge nel faubourg dei Guermantes, mai sbiaditi gli inchiostri che narrano il pranzo della duchessa Oriane e la soirée della principessa Marie, ancora aleggiante (a proposito) lo spirito della signora Timoléon d’Amoncourt «amica, non amante - avverte il Narratore - di tutti i grandi scrittori che le davano i loro manoscritti». La mostra al Musée des Lettres attinge nei fondi, rispettivamente, André Maurois, Simone de Caillavet, Suzy Mante-Proust. André Maurois, un biografo di Proust. Simone de Caillavet, figlia di Gaston e Jeanne Pouquet, modello di Gilberte, il primo amore adolescenziale di Proust (a lei è dedicato il poema «enflammé», fra le gemme nelle teche). Suzy Mante-Proust, nipote di Marcel, che, scomparso lo zio, sarà consolata dall’abate Mugnier, confessore del «Tous Paris»: «Nessuno è meno morto di lui». Di tempo perduto in tempo ritrovato, rigo dopo rigo, orma dopo orma della Recherche. A svettare, una testimonianza dell’inesauribile officina: le rielaborazioni che fra il 1914 e il 1918 trasfigurarono All’ombra delle fanciulle in fiore, da Proust posti a corredo dell’edizione di lusso, in cinquanta esemplari, apparsa nel 1920 (nel dicembre 1919 gli era stato assegnato il Premio Goncourt). La posta pneumatica è la lanterna magica che proietta questa e quella figura della cattedrale letteraria. In primis lei, la madre, la consolazione del bacio serale, rammemorato e rimpianto il 31 agosto 1901, narrando un «attacco d’asma e di raffreddore senza pause /. La cosa peggiore poi è che stavo bene quando mi sono coricato a mezzanotte, dopo avere fumato molto, e dopo tre o quattro ore mi è venuto il vero attacco estivo...». Accanto, sempre accanto al Malato, sino alla scomparsa, il 22 novembre 1922, la governante Céleste Albaret, «véritablement céleste», come Proust le rende merito rivolgendosi a Madame Catusse, la migliore amica della madre, «voce deliziosamente pura e maravigliosamente drammatica», come la ritrasse «l’artista da giovane», quindicenne, sentendola cantare Massenet e Gounod. Fra l’anatomia di un dolore fisico, un’espressione di cordoglio (a una cantante wagneriana, fervido wagneriano lo stesso Proust), un domestico male di vivere (i rumorosi lavori nell’appartamento vicino - è l’epoca di 102, boulevard Haussmann - che impediscono il riposo e il lavoro: «non si poteva attendere il mese di luglio?»), la dolorosa traversata della guerra (di volta in volta onorando i caduti, a cominciare dallo chauffeur e segretario Alfred Agostinelli: «lo amavo come un fratello...»), Marcel tesse il filo della Recherche, ovvero la «cruauté» (crudeltà) della malattia. Inseguendo il sollievo a cinque ore di treno da Parigi, a Cabourg-Balbec, come promette l’affiche di Lucien Lefèvre. Di miraggio in miraggio, fino alla definitiva costrizione nella camera tappezzata di sughero in rue Hamelin. Ora è nel museo Carnavalet, nel Marais. Marcel Proust e Woody Allen potrebbero incontrarsi lì vicino, chez Goldenberg. Non fosse che ha chiuso. Peccato. Irène Némirovsky lo elogiava: «C’è un ristorantino ebreo, l’unico a Parigi dove sappiano fare il luccio farcito come si deve».