Giancarlo Tedoldi, Libero 20/8/2010, 20 agosto 2010
ERRORI D’AUTORE
Avviso agli scrittori in erba: se siete deboli di cuore, insicuri, permalosi, insomma se siete il tipo di aspirante romanziere che fa leggere le sue opere solo alla mamma (e siete figlio unico) o alla fidanzata (e la picchiate), non leggete Come non scrivere un romanzo. Una guida per evitare i 200 errori più comuni, di Howard Mittelmark e Sandra Newman (Corbaccio, pp. 224, euro 16,6). Di sicuro troverete nel vostro capolavoro impubblicato, gelosamente custodito nella cartella più recondita del vostro pc, tutti e 200 gli errori segnalati dagli autori, senza rendervi conto, peraltro, che è la via maestra per sfondare in Italia.
Alla Scuola Holden
Prima di leggerlo, aspettate quella disperazione tremenda che vi porterà a iscrivervi alla scuola Holden per conoscere Alessandro Baricco, evento che vi comunicherà la necessaria sicurezza di voi e gli agganci giusti. Viceversa se siete
già iscritti alla scuola Holden, superata la fase della disperazione tremenda ecc., allora leggete questo libro e scoprite che gli autori hanno torto: si possono benissimo
infrangere le loro regole (alle scuole di creative writing si fa di continuo) e finire ai primi posti nelle classifiche dei romanzi più venduti e anche arrivare secondi al Premio Strega. Prendiamo il capitolo che suggerisce come costruire l’eroe del romanzo: «Chi è il protagonista», e andiamo alla sezione «La Compassion Fatigue. Quando il personaggio è senza speranze».
Ecco cosa scrivono quegli ingenui di Mittelmark e Newman, i due editor americani che credono di saperla lunga: «Certo, i personaggi dovrebbero avere problemi seri, ma non essere afflitti da ogni calamità che il genere umano conosca. Questo non significa che il vostro protagonista non possa essere bello, ricco e appagato dalla vita. I lettori possono anche identificarsi con un idiota o un imbranato, ma quando tutto quello che un personaggio riesce a fare è inanellare un fallimento dopo l’altro e piangersi addosso, l’identificazione diventa un impiccio». Fesserie.
Prendiamo Caos Calmo di Sandro Veronesi, un caposaldo del romanzo italiano contemporaneo. Vendutissimo,
acclamatissimo, premiostregatissimo, filmatissimo. Il protagonista è «un idiota o un imbranato», che per tutto il libro «non fa altro che
piangersi addosso» in due posizioni: seduto sulla panca o in piedi davanti alla panca, come la capra dello scioglilingua. Gli è anche capitata una «calamità», subito, la morte della moglie. Ma se Veronesi
non vi garba, potete assaggiare La solitudine dei numeri primi, di Paolo Giordano, dove il protagonista è così imbranato che all’inizio del romanzo si piscia addosso e si spacca una gamba (o forse tutte e due, non ricordo) durante una lezione di sci, poi dimentica il fratellino minorato nel parco, poi conosce un’idiota e imbranata anoressica (vedi alla voce calamità) e per tutto il libro i due «inanellano fallimenti» (be’, il maschietto in realtà trova la dimostrazione di qualche complicatissimo teorema matematico ma essendo un disadattato lo vive come un fallimento) e «si piangono addosso» abbandonandosi a gesti di autolesionismo vario. Risultato? Successone, vendutissimo, premiostregatissimo, e ora anche filmatissimo con l’imminente versione a tinte horror firmata dal regista Saverio Costanzo.
Ribaltare tutto
Allora sapete cosa vi consiglio? Comprate questo libro, leggete cosa, secondo gli autori, non dovreste fare quando scrivete un romanzo e poi fatelo. La gloria e il conto in banca ve ne saranno grati. Se non siete convinti proseguiamo con la dimostrazione empirica e saltiamo alla sezione intitolata: «Gli uomini vengono da cliché, le donne da stereotipo. Quando i personaggi corrispondono a stereotipi di genere». Se fosse stato per i due sprovveduti americani, un capolavoro imprescindibile come Acciaio della rivelazione Silvia Avallone non avrebbe mai visto la luce.
Se c’è una cosa buona di quel romanzo, infatti, è che gli stereotipi sono così rocciosi, da rasentare la bellezza di un’opera d’arte astratta. Una scultura di Henry Moore. Io Acciaio lo consiglio sempre a tutti, non per la storia, per gli stereotipi di genere.
Subito nelle prime pagine c’è una ragazzina un po’ troietta che fa il bagno sotto la sorveglianza ringhiosa del padre che la controlla (mi pare addirittura con un binocolo) e che qualche paragrafo dopo a causa di quel bagnetto lussurioso litiga con la moglie e madre della troietta, uscendosene con un magnifico: «In questa casa sono sempre l’ultimo a sapere!» Roba che al confronto i dialoghi di “Incantesimo” sono finezze da psicanalisti rankiani.
Sentite invece cosa scrivono gli sciagurati Mittelmark e Newman nel loro manuale, indicandolo come errore gravissimo: «Il rapporto tra i protagonisti è costruito sulla contrapposizione di cliché ultrasessisti. Lei non fa che ripetere “Dobbiamo parlare”: quanto di più molesto possa giungere alle orecchie di un uomo! Lui preferirebbe guardare la partita: e questo è il solo tratto della sua personalità». In poche parole, e con leggere varianti, è la famigliola «disfunzionale e anaffettiva» (due aggettivi anch’essi segnati con matita blu, molto ricorrenti nelle nostre migliori narrazioni) che ha conquistato le migliaia di lettori di Acciaio.
C’è poi il capitolo «Ricerche e sfondo storico» che sembra scritto apposta per i Wu Ming. Leggete la sezione intitolata «Salve! Sono il cavaliere medievale! Quando sono i personaggi a fornire il contesto» e trasecolate con me: «È una particolare versione della scena “Ciao! Sono mamma!” e ritrae una coppia di personaggi che discute ossessivamente sui valori e sulle norme della propria cultura (...). Poi c’è il caso del protagonista che si ribella ai valori della società in cui vive, mai messi in discussione prima di allora, ma lo fa col punto di vista dell’autore, che si conforma ai valori della società di oggi».
Poetica collettiva
In sostanza, la poetica di tutti i maggiori successi del simpatico collettivo: personaggi storici sbozzati con il cartone che si fanno ventriloqui di conflitti di civiltà interamente vissuti «col punto di vista dell’autore» e dove spesso «il protagonista si ribella ai valori della società in cui vive» (come Manuel, l’eroe del loro ultimo romanzo, Altai, che passa dalla parte dei veneziani a quella di ebreo errante, per morire infine impiccato dagli stessi veneziani) e dove i personaggi, come in un teatro di marionette, «discutono ossessivamente sui valori e le norme della propria cultura». Forse in America tutte queste caratteristiche saranno errori imperdonabili, da noi formano la spina dorsale della letteratura di successo.