Enrica Brocardo, Vanity Fair n.33 25/8/2010, 25 agosto 2010
CHI HA UCCISO LAURA CHI?
Lui era di passaggio in città. Che si innamorò è certo, ma rimase pochi giorni e poi andò via. In molti parlarono di quell’incontro e lui due anni dopo tornò. Si fermò in quella stanza di motel. Laura Palmer era seduta sul letto, addosso solo la lingerie.
Era il 1991. Fu l’ultima volta.
Da allora, la camera numero 6 del Mt. Si Motel è rimasta praticamente uguale: stesso arredamento, stessa tinta verde lago di sera alle pareti, solo un po’ più sporca e scrostata. Sul muro, un cartello: spiega che lì è stata girata una scena di Fuoco cammina con me.
Ma, forse, per ricordare un flirt vent’anni sono troppi.
TRA CIVETTE E CERVI IMBALSAMATI
A una cinquantina di miglia a est di Seattle, nella zona dove furono girati gli esterni della serie tv Twin Peaks (e del film Fuoco cammina con me, che portava al cinema gli stessi personaggi e gli stessi misteri), si è svolto, dal 6 all’8 agosto, il raduno dei fan. Un evento che si ripete ogni estate dal 1993, ma che quest’anno celebrava anche il ventennale dalla prima messa in onda del telefilm sul canale Abc (in Italia, fu trasmesso l’anno dopo su Canale 5).
David Lynch, il regista che, insieme a Mark Frost, la ideò e in parte diresse, al festival non c’è.
E al festival di Twin Peaks manca anche Twin Peaks. In giro, è vero, ci sono ancora le civette (almeno quelle di plastica), i corvi che facevano inquietudine, i tronchi di legno, e quello stile un po’ «montagnino» fatto di teste di cervi imbalsamati e di cuscini ricamati all’uncinetto con gli avanzi di lana, eppure, se vi saltasse in mente di andare in giro a chiedere alla gente del luogo chi ha ucciso Laura Palmer, vi sentireste rispondere: «Chi ha ucciso chi?».
TUTTO IN UNA SETTIMANA
Era la fine degli anni Ottanta, David Lynch e Mark Frost avevano in mente una serie alla Peyton Place: una piccola città piena di segreti e bugie. Immaginarono una ragazza morta, Laura Palmer, aggiunsero molto mistero, anche del tipo paranormale, uno stile da soap opera, un agente federale, Dale Cooper (l’attore Kyle MacLachlan), dotato di poteri psichici fuori dalla norma, mescolarono il tutto e la storia venne da sé: cocaina, prostituzione, spiriti maligni, tradimenti. Il tutto ricoperto da una crosta zuccherosa di apparente serenità. Cercavano una serie di location, le trovarono nello Stato di Washington, lungo le strade e nei dintorni delle cittadine di North Bend, Snoqualmie e Fall City: una segheria, le cascate, montagne e boschi a non finire, un hotel «non di lusso ma pulito» come lo stesso Cooper chiedeva di poter trovare nella prima puntata (lo Salish Lodge con vista sulle cascate di Snoqualmie), e un diner sufficientemente dark e fuori moda. Infine piazzarono un cartello lungo la strada, gli abeti sullo sfondo: «Twin Peaks Population 51201».
Lynch filmò alcune scene dell’episodio pilota. Nemmeno una settimana, poi la troupe smontò le attrezzature e tutti se ne andarono a Los Angeles, dove gli interni vennero ricostruiti in studio e dove fu girato il resto della serie.
IN PRINCIPIO FU INTERNET
«All’epoca, la gente di qui non aveva la minima idea di che genere di storia sarebbe stata», racconta William Kyle, 53 anni, attuale proprietario del diner di North Bend che appariva in molte scene del telefilm. «La sera in cui andò in onda la prima puntata, videro la sigla con quelle belle immagini, la cascata, l’uccellino e tutto il resto, poi subito dopo una ragazza morta avvolta in un telo di plastica. A quel punto il cinquanta per cento degli abitanti decise di spegnere il televisore».
In tutto il resto del mondo, però, il pubblico non si perse una puntata. Nel 1991 Twin Peaks vinse un Golden Globe come migliore serie drammatica, la figlia di Lynch, Jennifer, scrisse al volo Il diario segreto di Laura Palmer (diario che veniva citato nella serie), e lui stesso insieme a Frost si dovette divertire parecchio a compilare la sua guida alla città, Twin Peaks: An Access Guide To the Town, che fu pubblicata nel 1991. I protagonisti finirono sulle copertine delle riviste di mezzo mondo e i gadget arrivarono nei negozi. E poi ci fu la variabile Internet. Giusto vent’anni fa il web cominciava a diffondersi: Twin Peaks fu la prima serie di cui gli appassionati, ovunque nel mondo, potevano discutere fra di loro.
ADESIVI E CAFFÈ (DANNATAMENTE BUONO)
Sul tavolo all’ingresso della reception sono esposti i cartellini dei fan iscritti al raduno 2010. Circa 150, di cui una buona percentuale dalla West Coast, ma almeno un centinaio da più lontano, di cui una decina dall’Europa.
Con 200 dollari hanno acquistato il diritto ad assistere alla proiezione nel Seattle Art Museum del primo episodio preceduto da filmati e spezzoni inediti, un tour di circa tre ore sui luoghi dove fu girato Twin Peaks, una cena con alcuni dei protagonisti della serie, seguita da una gara per il «miglior costume ispirato a», un picnic vicino ad altre location e una quantità imprecisata di donuts, cherry pie e «damn fine coffee», ovvero i dolci e il caffè dannatamente buono che l’agente Cooper non si faceva mai mancare e che sono uno dei tormentoni del telefilm.
A fianco ci sono i gadget. Compro un po’ di adesivi con scritto «Bob Made Me Do It» (Bob è l’entità maligna che si impossessa delle persone e che le spinge a uccidere) e una collanina d’argento con una tazza di caffè e le scritta «Damn Fine».
A occuparsi dell’organizzazione del festival sono, dal 2007, Amanda Hicks, californiana, e Jared Lyon, di New York.
Jared ha 32 anni e ha visto Twin Peaks quando fu trasmesso per la prima volta. «Credo che mi abbia colpito perché era incredibilmente diverso da tutte le altre serie».
A parte David Lynch, che al raduno non si è mai visto («È troppo timido», mi dice sua figlia Jennifer che, invece, è qui per la terza volta. «Ma mi ha mandato un messaggio: “Di’ a tutti che si divertano” »), quasi ogni attore ha partecipato almeno a un’edizione.
Alla cena 2010, Kimmy Robertson arriva con gli stessi codini, nonché identica voce e dolce catatonia del suo personaggio Lucy (la centralinista dell’ufficio dello sceriffo di Twin Peaks). Mentre sul viso di Sherilyn Fenn dura solo un attimo lo sguardo tra il dispettoso e il seduttivo con il quale l’attrice, nella parte di Audrey, avvolgeva l’agente Cooper e che la fece finire sulla copertina di Playboy.
Mentre i fan vanno e vengono, con macchine fotografiche e telecamere, chiedo a Jennifer Lynch di raccontarmi come è nato Il diario segreto di Laura Palmer. «Avevo 12 anni, eravamo in auto, e mio padre mi chiese a che cosa stessi pensando. Gli dissi che mi sarebbe piaciuto leggere il diario di un’altra ragazza per scoprire se aveva i miei stessi pensieri. Avevo la sensazione che in me ci fosse qualcosa di sbagliato».
Poi scherza quando le domando se crede davvero che le piccole città nascondano più segreti: «Beh, tutti sanno tutto: “Ehi, Jen ha comprato dei preservativi. Chissà che sta combinando”. Chiunque ha i suoi segreti, ma in un piccolo paese per forza devi tenere nascoste più cose e costruirti una facciata».
TRA FINZIONE E VERI ASSASSINI
Pat Cockwell, 80 anni, era la proprietaria del diner ai tempi in cui fu girato Twin Peaks. Per anni, ha visto arrivare «autobus interi di giapponesi» (in Giappone la serie ebbe un tale successo che Kyle MacLachlan fu ingaggiato per una serie di spot pubblicitari di una marca di caffè) e appassionati ai limiti dell’ossessione.
Con sé ha una pila di fotografie del set, dei vari festival e ritagli di giornali con le interviste che nel corso degli anni ha rilasciato a giornalisti di tutto il mondo: negli articoli, Pat appare sorridente a fianco della sua cherry pie.
Nello stesso periodo, però, alcuni tabloid scandalistici cominciarono a descrivere i locali come «gente che va in giro armata di pistole e seghe elettriche» e a parlare di sette sataniche. Considerato che nella zona, tra gli anni Ottanta e Novanta, un serial killer soprannominato «the green river killer» aveva ucciso 48 prostitute, e che Ted Bundy, responsabile di vari omicidi intorno a Seattle, era stato appena giustiziato, gli abitanti del posto cominciarono a essere stufi. Così, esauriti i souvenir in tema rimasti sugli scaffali dei negozi, ognuno riprese a fare la propria vita.
Nel 2000, quando un incendio distrusse il diner, il nuovo proprietario mise all’asta su eBay i pochi sgabelli che si erano salvati dalle fiamme e ricostruì il locale in modo completamente diverso. La casa di Laura Palmer non si trova in città («E chi ci abita non ha mai sentito parlare di Twin Peaks», dice Jared), la pompa di benzina di Ed Hurley è stata sostituita dall’ufficio di una serra, la segheria è chiusa e una delle due ciminiere è stata demolita, il vagone del treno dove Laura Palmer fu torturata è stato rimosso (ce ne sono ancora di simili, però) e sul sito web delle cascate di Snoqualmie non si fa cenno a Twin Peaks. Di agricoltori e boscaioli non ce ne sono più, i nuovi abitanti lavorano per Microsoft e stanno in zone residenziali nei dintorni e William Shaw, l’editore del giornale locale Valley Record, preferisce glissare sul ventennale e parlare di escursioni in montagna.
E pure la camera numero 6 sta per scomparire. «Parecchia gente mi chiede ancora di poter dormire lì o solo di poterla vedere», racconta Marlo Vistrand, 63 anni, che ha ereditato il Mt. Si Motel dai genitori, «ma quest’inverno ho deciso che la farò ritinteggiare. Sono passati vent’anni. La vita va avanti».
(Mentre finivo l’articolo in un hotel di Santa Monica, due corvi si sono fermati davanti alla finestra. Forse per ricordare un flirt vent’anni non sono troppi. Ma non importa su quale letto dormi).